STUDIO LEGALE PEPE - VIA TUSCOLANA 4, 00182 ROMA TEL. (+39) 067011977 - 3477185620

Breve panoramica sul nuovo istituto della mediazione penale e dei programmi di giustizia riparativa (art. 129 bis c.p.p) a cura dell’Avv. Lorenzo Casini del Foro di Roma

Con l’avvento della recente riforma Cartabia, il Legislatore ha introdotto nel codice di procedurale penale il nuovo articolo 129 bis c.p.p. rubricato “Accesso ai programmi di giustizia riparativa”.

Scopo di tale articolo di divulgazione, è offrire un breve excursus circa la ratio sottesa a tale intervento normativo di nuovo conio, in attesa che vengano finalmente pubblicate norme di attuazione in merito ai Centri per la giustizia riparativa e sulla disciplina di dettaglio afferente la nuova figura professionale del mediatore penale nel ambito del processo per i maggiorenni ai fini di una valutazione complessiva della portata rivoluzionaria o meno di tale nuovo istituto giuridico nel campo del processo penale ordinario.

L’art 129 bis irrompe come un fiume in piena rispetto agli argini consolidati del diritto penale classico inteso come risposta retributiva/afflittiva e special/general preventiva al versare in re illicita da parte dei consociati:

la giustizia riparativa lancia una sfida importante, già a partire dal nomen iuris: quella di “superare la logica del castigo, muovendo da una lettura relazionale del fenomeno criminoso, inteso primariamente come un conflitto che provoca la rottura di aspettative sociali simbolicamente condivise. Il reato non dovrebbe più essere considerato soltanto un illecito commesso contro la società, o un comportamento che incrina l’ordine costituito – e che richiede una pena da espiare – bensì come una condotta intrinsecamente dannosa e offensiva, che può provocare alle vittime privazioni, sofferenze, dolore e persino la morte e che richiede, da parte del reo, principalmente l’attivazione di forme di riparazione del danno provocato”1

 

La questioni fondamentali per la giustizia riparativa, dunque, non sono più (o non più soltanto) “chi merita di essere punito” e “con quali sanzioni”, bensì “chi soffre” e “cosa può essere fatto per riparare il danno”; laddove riparare non significa riduttivamente controbilanciare in termini economici il danno cagionato2.

-----------------------------------------

 (NOTE)

1 A. Ceretti, Giustizia riparativa e mediazione penale. Esperienze pratiche a confronto, in F. Scaparro (a cura di), Il coraggio di mediare, Guerini e Associati, 2001, p. 307 e ss.

2 Una seppur minima anticipazione a tale intento di riparatorio, avente connotazione non di natura economica, ma piuttosto votato alla ricomposizione della frattura sociale è rinvenibile nel comma V dell’art 165 c.p. (introdotto dalla La legge n. 69/2019 meglio conosciuta come Codice rosso) il quale prevede per il condannato in materia di Maltrattamenti in famiglia; Violenza sessuale; Atti sessuali con minorenne; Corruzione di minorenne; Violenza sessuale di gruppo Atti persecutori; Omicidio, l’obbligo ai fini della concessione della sospensione condizionale della pena, dell’’avvio di un percorso psicoterapeutico finalizzato al graduale reinserimento del reo nel consesso civile secondo modalità relazionali più consone al comune sentire e al rispetto dell’altrui persona, vittima di tale tipologia di reato. Lo stesso può affermarsi, mutatis mutandis per quanto attiene l’istituto della messa alla prova, (ex art. 168 bis c.p.p.), e, sul punto, bisogna segnalare che lo svolgimento di programmi di giustizia riparativa, o comunque, le condotte volte a promuovere lo svolgimento dei suddetti programmi,

 --------------------------------------------------------------------

L’azione riparativa è da intendersi non già in una prospettiva meramente compensatoria o di semplice indennizzo, ma come un protendersi del reo, presunto o tale, verso un agire responsabile per il futuro. Attraverso i programmi di giustizia riparativa non si ripara dunque il danno3, ma si progettano azioni consapevoli e responsabili verso l’altro, che possano ridare significato, laddove possibile, ai legami fiduciari fra le persone.

L’elaborazione primigena dei “restorative process” promana direttamente dalla Nazioni Unite:

«La giustizia riparativa è qualunque procedimento in cui la vittima e il reo e, laddove appropriato, ogni altro soggetto o comunità lesi da un reato, partecipano attivamente insieme alla risoluzione delle questioni emerse dall’illecito, generalmente con l’aiuto di un mediatore. I procedimenti di giustizia riparativa possono includere la mediazione, la conciliazione, il dialogo esteso ai gruppi parentali e i consigli commisurativi”4;

Mentre la nozione contenuta nella Direttiva 29/2012/UE è la seguente: «“giustizia riparativa”: qualsiasi procedimento che permette alla vittima e all'autore del reato di partecipare attivamente, se vi acconsentono liberamente, alla risoluzione delle questioni risultanti dal reato con l'aiuto di un terzo imparziale».

Sempre in ambito transnazionale I punti salienti dell’iter riparativo sono stati brillantemente enucleati dalle Linee guida per la Better Implementation of Mediation in the Member States of the Council of Europe:

  • la “partecipazione attiva di reo e vittima” e comunità alla gestione degli effetti distruttivi prodotti dal comportamento deviante e alla soluzione del conflitto nascente dal reato. Si tratta, per le persone coinvolte, di riappropriarsi della capacità di parola, partecipando a un percorso dialogico di riconoscimento nel quale viene restituita dignità ai vissuti e alle narrazioni di ciascuno, come premessa per fondare o ri-fondare la capacità di progettare e impegnarsi in un’azione che ripara;
  • il “riconoscimento della vittima e la riparazione dell’offesa nella sua dimensione globale”: è perciò da considerare anche la dimensione emozionale dell’offesa, i sentimenti sociali che ne derivano e che causano in chi è vittima la perdita del senso di fiducia negli altri e la nascita di un vissuto di insicurezza individuale tale da indurre persino a modificare le abitudini di
  • “l’auto-responsabilizzazione del reo”: il percorso prospettato dovrebbe condurre il reo a rielaborare il conflitto e i motivi che lo hanno causato, a maturare un concetto di responsabilità “verso” l’altro, ad avvertire, appunto, la necessità di riparazione; gli autori di reato coinvolti nei percorsi di giustizia riparativa (nella mediazione reo/vittima in particolare) hanno la possibilità di esplorare il significato e il
 

rientra nei contenuti del programma di trattamento da allegare alla richiesta di sospensione del procedimento per messa alla prova, ex art. 464 bis c.p.p.;

 (NOTE)

3 Bouchard M., Mierolo G., Offesa e Riparazione, Bruno Mondadori, 2005.

Basic principles on the use of restorative justice programmes in criminal matters adottati dalle Nazioni Unite il 24 luglio 2002,

 -----------------------------------------------------------

contenuto della norma violata11 in modo concreto e non astratto attraverso l’ascolto della narrazione di una singolare esperienza esistenziale (quella della vittima);

  • il coinvolgimento della comunità nel processo di riparazione”, non soltanto quale destinataria di politiche di riparazione ma anche quale attore sociale nel percorso di pace che muove dall’azione riparativa del La qualità del coinvolgimento dell’opinione pubblica è dunque essenziale anche per far maturare l’idea di una nuova “sicurezza” da non ricercare necessariamente nella repressione;
  • la “consensualità”: i programmi di giustizia riparativa richiedono il consenso consapevole, informato, spontaneo e revocabile delle parti (art. 1 , art. 7 Basic Rules), avente ad oggetto le fasi dell’iter, la partecipazione alle esperienze di mediazione face to face, ai conference group, alla mediazione con vittima aspecifica ecc., e gli eventuali accordi riparativi e/o risarcitori (art. 31 Racc., art. 7 e 12 Basic Rules);
  • la “confidenzialità” della mediazione: implica che l’incontro di mediazione sia protetto ed impedita qualsiasi forma di diffusione all’esterno dei suoi contenuti (art. 2 , art. 13 Basic Rules); tale regola permette un dialogo pieno tra le parti in un clima di fiducia, la trattazione del conflitto nel suo complesso e in tutte le sue implicazioni, facilitando quindi il raggiungimento di forme di riconoscimento reciproco e di riparazione. In Italia, soltanto nel decreto legislativo 274/2000 concernente la giurisdizione penale del giudice di pace, si precisa “l’inutilizzabilità processuale delle dichiarazioni rese dalle parti davanti ai mediatori” (art. 29 c.4). Tale principio dovrà essere esteso a tutti i contesti nei quali interverranno le pratiche di mediazione, contestualmente alla previsione, tassativamente determinata, dei casi nei quali i mediatori dovranno derogare a tale principio;
  • la “volontarietà dell’accordo raggiunto tra le parti”: gli accordi che nascono dai programmi di RJ debbono essere conclusi volontariamente sebbene sotto la guida dei mediatori, e non possono scaturire da decisioni prese altrove (per esempio dall’autorità giudiziaria); gli impegni riparatori devono rispondere ai criteri di “ragionevolezza e proporzione” (art. 31 , art. 7 Basic Rules).

Pervenendo ora al contesto del diritto domestico, la Riforma Cartabia ha inteso recepire molti dei principi del c.d. acquis comunitaire e internazionale, sicché nell’ordinamento italiano la Giustizia riparativa viene a connotarsi per le seguenti peculiarità in controtendenza e/o in parallelismo rispetto agli strumenti e alla finalità perseguite della giustizia ordinaria:

  • la complementarità (e non sussidiarietà o alternatività), ossia, un percorso parallelo rispetto alla d. giustizia ordinaria, conforme, in primo luogo, al modello riabilitativo (ex art. 27 cost.) dell’autore dell’offesa (persona fisica o giuridica, visto che le disposizioni processuali relative all’imputato si possono applicare, in virtù dell’art. 35 del d.lgs. 231/01, anche agli Enti Giuridici);
  • la volontarietà e la gratuità (non essendovi alcun obbligo né per l’indagato né per la p.o. e non essendo previsti costi o spese per l’attivazione di tali procedure);

-l’impulso di parte o ex officio al ricorso a tale percorso di giustizia riparativa con un trattamento di maggior riguardo indirizzato alla vittima del reato essendo auspicabile la sua partecipazione al percorso

 

-applicabilità generalizzata dell’istituto del 129 bis c.p.p. a tutte le fattispecie penali, salvo il concreto pericolo per i partecipanti derivante dal programma (verificato dall’A.G.) ed ammissibile in ogni fase e grado del processo ed anche in fase esecutiva e dopo l’esecuzione della pena, così come all’esito di una sentenza di non luogo a procedere o di non doversi procedere, per difetto della condizione di procedibilità o per estinzione del reato, ovvero in seguito ad una richiesta di archiviazione (visto che nell’avviso alla p.o. deve essere indicata la possibilità di accedere alla giustizia riparativa), nonché prima che sia presentata querela (in caso di reati non procedibili d’ufficio);

-riservatezza dei dati e circostanze di fatto emersi in sede di mediazione, come si evince, in generale, dal divieto di testimonianza del mediatore in relazione allo svolgimento del programma, dal generico divieto di sequestro dell’oggetto del programma e dalla limitazione all’intercettazione delle comunicazioni, dall’ indipendenza dei mediatori, dal consenso libero ed informato e personale e dal coinvolgimento della comunità; Immediato recepimento processuale/processuale dei risultati acquisiti in sede di mediazione penale - con eventuali effetti sostanziali favorevoli per l’autore dell’offesa.5

Gli effetti processuali/procedimentali immediati.

 

 

L’art. 129 bis c.p.p. prevede un generico obbligo di comunicazione, da parte dell’A.G. ed in particolare del P.M., di comunicazione della possibilità di accedere ai programmi di giustizia riparativa. l’A.G. può disporre, anche d’ufficio (o su richiesta personale o tramite procuratore speciale dell’imputato o della vittima del reato) l’invio dell’imputato e della vittima ad un Centro per la giustizia riparativa per l’avvio di un programma di giustizia riparativa.

Nel corso delle indagini, tale potere spetta al P.M. con decreto motivato6. In ogni caso, l’invio – da parte del PM – non determina alcuna sospensione del procedimento

 ---------------------------------------

 (NOTE)

5 I commentatori della Riforma hanno sottolineato come tale sia l’aspetto più critico della suddetta disciplina, anche alla luce di altri istituti processuali che possono portare ad immediati effetti positivi per l’indagato (come, ad es., la messa alla prova e soprattutto l’art. 162 ter c.p., ossia l’estinzione del reato per condotte riparatorie) o comunque immediatamente deflattivi ed estintivi del procedimento (come, ad es., la non punibilità per particolare tenuità del fatto, a norma dell’art. 131 bis del c.p.) senza che appia più conveniente per il mero e semplice interesse dell’assistito indagato/imputato partecipare ai programmi di cui all’art. 129 bis C.p.p.

6 Tale potere, ovviamente, pare del tutto nuovo e diverso rispetto alla funzione tipica del PM nel processo penale (appunto, esercizio azione penale-archiviazione), destando alcune perplessità fra commentatori della Riforma in quanto in posizione distonica e di frattura dogmatica rispetto al principio radicato in Costituzione della obbligatorietà dell’azione penale (art. 112 Cost)

------------------------------

. L’esercizio di tale potere (del PM o del Giudice) si basa solamente su una valutazione – in contraddittorio con le parti (e solo eventualmente della vittima del reato) – di utilità per la risoluzione delle questioni derivanti dal fatto per cui si procede, in assenza di concreto pericolo per le parti e per l’accertamento dei fatti (e nessuna altra valutazione spetta all’AG, prescindendosi, quindi, completamente dal fatto di reato e da eventuali pregressi anche penali dell’imputato).

 

Peraltro, nel caso di reati perseguibili a querela soggetta a remissione, in seguito ad emissione dell’avviso ex art. 415 bis c.p.p., ovvero avviso di deposito ex art. 415 ter c.p.p., il Giudice, a richiesta dell’imputato può disporre – con ordinanza – la sospensione del procedimento o del processo per lo svolgimento del programma per un termine non superiore a 180 giorni (con applicazione, quindi, delle norme sulla sospensione della prescrizione, delle misure cautelari e sospensione del termine per l’improcedibilità in appello)7.

 L’acquisizione giudiziale degli esiti del percorso.

Al termine dello svolgimento del programma di giustizia riparativa, infatti, l’A.G. (o il P.M., si ritiene) acquisisce, su suo invio, la relazione del mediatore. Il mediatore, peraltro, comunica all’A.G. procedente anche la mancata effettuazione del programma, l’interruzione dello stesso o il mancato raggiungimento di un esito riparativo.

3.  Gli effetti sostanziali eventuali.

 

  • l’attenuante comune ex 62 c.1 n.6 c.p.

 

L’aver partecipato ad un programma di giustizia riparativa con la vittima del reato, concluso con esito riparativo, costituisce infatti una attenuante come previsto dall’art. 62 c.1 n. 6 c.p.

Peraltro, qualora l’esito riparativo comporti l’assunzione da parte dell’imputato di impegni comportamentali, la circostanza è valutata solo a condizione gli obblighi assunti vengano adempiuti8.

-      La remissione tacita di querela

 

Il Giudice può emettere sentenza di non doversi procedere qualora il querelante abbia partecipato a un programma di giustizia riparativa, concluso con esito riparativo.

 

 ---------------------------------------------

7 Sussistono, peraltro, seri dubbi applicativi nell’ipotesi di procedimento a carico di più indagati/imputati nel caso di richiesta ex art. 129 bis c.p.p. da parte di uno o più di loro (ma non di tutti). Alcuni commentatori hanno suggerito che troverebbe portata applicativa in questi casi l’art. 18 c.p.p., con conseguente separazione dei processi (salvo che il giudice ritenga la riunione assolutamente necessaria), con tutti gli effetti conseguenti di evidente aggravio processuale (ad es. doppio dibattimento, doppia escussione della p.o. e testi ecc);

8 Tale attenuante non pare, inoltre, sussistere nel caso in cui l’imputato partecipi al percorso riparativo, senza l’adesione della vittima. In tal caso, al massimo, potrebbero riconoscersi le attenuanti generiche, le quali, come noto, costituiscono una c.d. valvola di sfogo del sistema, volta, anche, a valorizzare comportamenti meritevoli, non espressamente enucleati dalla disciplina positiva.

---------------------------------

Tale interpretazione si porrebbe, peraltro, in linea con l’orientamento giurisprudenziale maggioritario, secondo cui le circostanze attenuanti generiche avrebbero lo scopo di estendere le possibilità di adeguamento della pena in senso favorevole all'imputato, in considerazione di situazioni e circostanze che effettivamente incidano sull'apprezzamento dell'entità del reato e della capacità a delinquere del reo, come, appunto l’aver volontariamente partecipato ad un percorso riparativo, non portato a compimento per scelta della vittima (v., in argomento, Cass. sez. II 9299/19).

 

Nell’ipotesi in cui l’esito riparativo comporti l’assunzione da parte dell’imputato di impegni comportamentali, la circostanza è valutata solo quando gli impegni siano rispettati, quindi, non vi è alcun effetto estintivo nei reati procedibili d’ufficio e quando non vi è la partecipazione del querelante, anche se il reato risulta procedibile a querela, ex art. 152 c.p.

Sospensione della pena ex art. 163 comma 4.

La partecipazione ad un programma di giustizia riparativo con esito riparativo è uno dei nuovi (ed autonomi) presupposti applicativi della sospensione condizionale breve o speciale ex art. 163 c.4

c.p. (in caso di pena inflitta non superiore ad un anno).

  • L’applicazione dell’art. 133 p.: l’A.G.,

il Giudice, per le determinazioni di competenza circa la dosimetria della pena valuta lo svolgimento del programma e, anche ai fini dell’art. 133 c.p., e l’eventuale esito riparativo.

In ogni caso, l’interruzione dello stesso o il mancato raggiungimento di un esito riparativo non producono effetti sfavorevoli nei confronti della persona indicata come autore dell’offesa

Profili di criticità di natura processuale e di coordinamento con l’attuale assetto della Giustizia

C.d. ordinaria

 

A detta dei commentari alla Riforma, la disciplina della giustizia riparativa presenta, però, sin da subito, alcune criticità di natura procedimentale/processuale oltre che problemi di coordinamento con l’attuale assetto procedimentale della c.d. giustizia ordinaria.

In particolare, quest’ultime si possono riscontrare per quanto concerne le norme volte a garantire all’indagato la non utilizzabilità processuale degli atti/informazioni acquisite nel corso del programma di giustizia riparativa o comunque ad evitargli degli effetti pregiudizievoli del contenuto di tali dichiarazioni nel corso del procedimento penale.

Attraverso la lettura degli artt. 50 e 51 Dlgs 150/2022 parrebbe, infatti, che le dichiarazioni rese e le informazioni acquisite nel corso del programma (di giustizia riparativa) non possano essere utilizzate nel procedimento penale e nella fase dell’esecuzione penale.

Si registrerebbe in fatti un vuoto normativa in quanto non sarebbe stata prevista una analoga disciplina per le informazioni e dichiarazioni acquisite prima del programma o comunque in ragione del programma

 

Inoltre, l’art. 50 succitato conferisce al mediatore un notevole potere discrezionale in tema di dovere di riservatezza sulle attività, atti, ed informazioni acquisiti nel corso del programma, in quanto salvo il consenso espresso dei partecipanti alla rivelazione, il mediatore ha la facoltà di comunicare all’A.G. i dati e le informazioni apprese in sede di mediazione qualora le dichiarazioni rese vengano ritenuti integrative di fattispecie di reato o qualora sulla base delle dichiarazione stesse ritenga che la comunicazione resa all’A.G. sia necessaria per evitare la commissioni di imminenti e gravi reati

Giustapposto a tale dovere di riservatezza, vi è ai sensi dell’art. 52 la facoltà del mediatore di non deporre come testimone (estendendo l’art. 200 c.p.p. in tema di segreto professionale alla figura del mediatore penale), salvo, appunto, l’ipotesi succitata in cui il mediatore ritenga che la rivelazione risulti assolutamente necessaria per evitare la commissione di imminenti o gravi reati e quando le dichiarazioni integrino, di per sé, reato, nel caso in cui il mediatore deponga, le sue dichiarazioni saranno pienamente utilizzabili processualmente.

L’unico dilemma giuridico potrebbe essere costituito dalla sussistenza astratta, in tal caso, del reato di cui all’art. 622 c.p. (rivelazione di segreto professionale), anche se, la deposizione in un processo penale, nell’ipotesi delle circostanze anzi riferite scriminerebbe la condotta del mediatore atto a deporre, profilandosi una causa di giustificazione (adempimento del dovere), tale da escluderne la punibilità in concreto.

Tale facoltà di non deporre davanti all’autorità giudiziaria, tuttavia, non è prevista né per il personale dei centri per la giustizia riparativa né per i partecipanti (con evidente vulnus eventuale per l’indagato) né per eventuali interpreti.

  • L’art. 52 DLGS 150/22 che prevede una disciplina volta a garantire la c.d. giustizia riparativa dall’attività d’indagine dell’Autorità Giudiziaria offrendo una schermatura alle pressioni investigative degli inquirenti, mossi da forma mentis e rispondenti a logiche accusatorie in assoluta posizione antinomica rispetto alla ratio e agli obbiettivi perseguiti dalla “restorative process”

Invero non sono consentiti i sequestri presso i mediatori e nei luoghi in cui si svolge il programma di giustizia riparativa, nemmeno procedere alla perquisizione e sequestro di carte o documenti relativi all’oggetto del programma, salvo costituiscano corpo del reato.

Il dubbio attuale per gli operatori del diritto è se tali “guarentigie” siano estensibili anche ai centri per la giustizia riparativa

 

Le medesime considerazione possono spendersi per quanto attiene il regime delle intercettazioni laddove quest’ultime non sono consentite per conversazioni o comunicazioni nei luoghi in cui si svolge il programma di giustizia riparativa, né di conversazioni/comunicazioni dei mediatori che abbiano ad oggetto fatti conosciuti per ragione o nel corso del medesimo programma, lasciando ad oggi irrisolto il dubbio ermeneutico, in attesa delle prime pronunce giurisprudenziali, se possano ritenersi ammissibili l’intercettazione in altri luoghi e su altre persone, quali, ad es. i partecipanti o il personale del centro per la giustizia riparativa.

il mediatore non ha obbligo di denuncia in relazione ai reati dei quali abbia avuto notizia per ragione o nel corso del programma di giustizia riparativa, salvo che vi sia il consenso dei partecipanti (tutti) o il mediatore ritenga questa assolutamente necessaria per evitare la commissione di imminenti o gravi reati o quando le dichiarazioni integrino di per sé reato.

La particolare criticità in tale caso si rinviene nell’estremo margine di estrema discrezionalità concesso al mediatore, considerando che, pur non avendo un obbligo, ha sempre la facoltà di denuncia

Di conseguenza, le lacune in ordine alla garanzia di segretezza ed inviolabilità dei luoghi e dei partecipanti ai programmi di giustizia riparativa potrebbe ridurre l’appetibilità dell’istituto, esponendo l’indagato a rischi di natura processuale e/o procedimentale; soprattutto a seguito di consultazione col proprio difensore l’indagato/imputato potrebbe essere ben più propenso a continuare a percorrere l’ iter della giustizia ordinaria magari usufruendo di istituti premiali e favorevoli già previsti dal Legislatore (come per esempio l’istituto della messa alla prova, estinzione del reato per condotte riparatorie, sostituzione di pene detentive brevi, ).

Pertanto, si attendono eventuali correttivi normativi e/o le prime pronunce giurisprudenziale per trarre le prime conclusioni circa la proficuità di tale istituto ad un progressivo e tangibile miglioramento del sistema Giustizia dell’ordinamento italiano.

Contattaci

Loading...
Privacy Policy