| home |  indietro  |  privacy policy                                           A cura dello Studio Legale Avv. Marco Pepe

DIRITTO DI CITTADINANZA

CORTE DI CASSAZIONE (S.U.), sentenza 27 novembre 1998 n. 12061

Primo Presidente, SGROI – Consigliere Rel. OLLA

P.M., MOROZZO DELLA ROCCA (concl. conf.)

 

Hosri e Arrigoni (avv. Adragna, Macchi Alfieri, Pace) contro Ministero degli interni (avv. dello Stato Sica) e Procuratore generale della repubblica presso la Corte di Appello di Milano (intimato).

Qualora la pronuncia di illegittimità costituzionale abbia ad oggetto una norma contenuta in una legge o in un atto anteriore all’entrata in vigore della Costituzione e sia stata determinata dal contrasto della norma dichiarata illegittima con norme e principi della Costituzione stessa, i suoi effetti, anche rispetto ai rapporti ancora pendenti, non possono retroagire oltre il 1° gennaio 1948.

La sentenza costituzionale n. 87 del 1975, che ha dichiarato illegittimo l’art. 10, comma terzo della l. 13 giugno 1912 n. 555 relativo alla perdita della cittadinanza italiana maritata ad uno straniero, non può incidere sui matrimoni celebrati prima del 1° gennaio 1948.

E’ manifestamente infondata la questione di illegittimità costituzionale, sollevata in riferimento all’art. 3 della Costituzione, relativa alla pretesa disparità di trattamento tra i regimi di cui all’art. 2, comma primo della legge n. 555 del 1912 (sull’acquisto della cittadinanza per filiazione naturale da cittadino italiano) e all’art. 12, comma primo della medesima legge (sull’acquisto della cittadinanza per filiazione da cittadino italiano divenuto tale dopo la costituzione del rapporto di filiazione).

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. 1. Nell’anno 1939, la cittadina italiana Matilde Arrigoni (nata a Salonicco il 3 novembre 1920 da cittadino italiano) contrasse matrimonio con il cittadino albanese Antoine El Hosri e, giusta il disposto dell’art. 10, comma terzo l. 13 giugno 1912 n. 555 all’epoca vigente, perse la cittadinanza italiana.

Il 20 gennaio 1942 dall’unione tra i predetti coniugi nacque, a Beirut, Fernand Antoine Hosri che assunse la cittadinanza libanese.

Successivamente, a seguito di dichiarazione effettuata in data 23 marzo 1982 ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 219, comma primo l. 19 maggio 1975 n. 151 la Arrigoni riacquistò la cittadinanza italiana.

Con istanza in data 13 ottobre 1986 Fernand Antoine Hosri, sostenendo di essere cittadino italiano, chiese all’Ufficiale dello stato civile di Milano l’annotazione di tale status nei relativi registri. A fondamento dell’istanza richiamò, sul piano normativo, che con sentenza 9 febbraio 1983 n. 30, la Corte Costituzionale aveva dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 1 n. 1 della l. 13 giugno 1912 n. 555 nella parte in cui non prevede che sia cittadino per nascita anche il figlio di madre cittadina; e sul piano concreto, lo status di cittadinanza della propria madre.

L’istanza fu disattesa con provvedimento in data 12 giugno 1987 sulla base del rilievo che il precetto introdotto dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 30/1983 può trovare applicazione soltanto nei confronti dei soggetti nati dopo il primo gennaio 1948, data di entrata in vigore della Costituzione .

2. Con atto di citazione notificato il 25 gennaio 1988, Fernand Antoine Hosri convenne il Ministero degli interni, l’Ufficiale dello stato civile del Comune di Milano, nonché il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano al giudizio del Tribunale di Milano e chiese a quel giudice la declaratoria del proprio stato di cittadino italiano per nascita.

L’Ufficiale dello stato civile non si costituì in giudizio.

Il Ministero degli interni, costituendosi in giudizio, contestò la fondatezza della domanda, deducendo, in via assorbente, che nei confronti dell’attore il precetto di cui all’art. 1 n. 1 della legge n. 555/1983 (rectius: 1912, n.d.r.) come risultante a seguito della sentenza adittiva della Corte Costituzionale n. 30/1983 non poteva trovare applicazione in quanto lo stesso attribuisce la cittadinanza soltanto a coloro la cui madre, al momento della loro nascita, sia cittadina italiana, il che - nella specie – non era: infatti, alla data del 20 gennaio 1942 (giorno di nascita dell’attore) la Arrigoni era cittadina libanese, avendo riacquistato la cittadinanza italiana solo il giorno successivo alla sua dichiarazione in tal senso del 23 marzo 1982, allorquando, tra l’altro, l’attore era divenuto maggiorenne.

Di fronte a questa eccezione del Ministero degli interni, la Arrigoni intervenne volontariamente nel giudizio al fine di far dichiarare che nonostante il proprio matrimonio col cittadino libanese Antoine Hosri essa aveva mai perso la cittadinanza italiana ma l’aveva conservata ininterrottamente, con la conseguenza che il figlio Fernand Antoine era nato da madre che al momento della nascita era cittadina italiana. Tale conclusione, specificò, era imposta dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 87 del 16 aprile 1975 che aveva dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 10, comma terzo l. 13 giugno 1912 n. 555 nella parte in cui, per l’ipotesi, di matrimonio di una cittadina italiana con uno straniero per la cui legge nazionale la cittadinanza del marito si comunica alla moglie, prevede la perdita della cittadinanza italiana indipendentemente dalla volontà della donna.

Il ministero degli interni replicò negando che la sentenza della Corte Costituzionale n. 87/1975 potesse produrre gli effetti invocati dalla interveniente non fosse altro perché la stessa, col matrimonio, aveva perso definitivamente la cittadinanza italiana.

Il Tribunale di Milano, pronunciando con sentenza depositata il 17 maggio 1990, dichiarò che le domande proposte dall’attore e dalla interveniente nei confronti dell’Ufficiale di stato civile erano inammissibili, mentre quelle proposte nei confronti del Ministero degli interni erano infondate. Tanto, secondo il primo giudice, conseguiva al rilievo che la perdita della cittadinanza italiana da parte della Arrigoni costituiva una situazione definitivamente esaurita, di modo che non poteva essere in alcun modo incisa dagli effetti della sentenza della Corte Costituzionale n. 87/1975; che, pertanto, mentre era da escludersi che la Arrigoni avesse conservato ininterrottamente la cittadinanza italiana, occorreva concludere nel senso che essa aveva soltanto "riacquistato" detto status e soltanto a decorrere dal 24 marzo 1982; che, correlativamente, per quanto riguarda la posizione giuridica dell’attore, era da escludersi l’applicabilità sia dall’art. 1, comma primo n. 1 l. 555/1912 (come risultante dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 30/1983) tenuto conto che al 23 marzo 1982 Fernand Antoine Hosri era già maggiorenne e sia dell’art. 12, comma primo della legge n. 555/1912 che dell’art. 5 l. 21 aprile 1983 n. 123.

3. La pronuncia è stata integralmente confermata dalla Corte d’Appello di milano – alla quale Matilde Arrigoni e Fernand Antoine Hosri avevano proposto impugnazione in secondo grado con citazione notificata il 7 gennaio 1991 – con sentenza depositata il 19 novembre 1993.

La Corte territoriale ha riproposto, sostanzialmente, gli argomenti e le ragioni sui quali il Tribunale di Milano avevano fondato la sua statuizione.

Ha affermato, infatti, che ai principi in tema di acquisto e di riacquisto della cittadinanza (in particolare da quelli relativi alla determinante incidenza su quegli eventi della volontà del soggetto nonché del fattore – tempo) discende che il verificarsi di un fatto che produca la perdita, l’acquisto o il riacquisto della cittadinanza determina effetti definitivi ed irrevocabili in ordine di status civitatis del soggetto interessato.

Perciò – nel vigore della disciplina dettata dall’art. 10, comma terzo della legge n. 555/1912 avanti la declaratoria della sua incostituzionalità con la sentenza della Corte Costituzionale n. 87 del 1975 – l’evento costituito dal matrimonio di una cittadina italiana con uno straniero, la cui cittadinanza le si comunicava per effetto del matrimonio, ha determinato una situazione giuridica (la perdita della cittadinanza italiana) i cui effetti erano definitivi ed irrevocabili.

Ne ha tratto che "l’effetto abrogativo certamente riconoscibile nella sentenza della Corte Costituzionale n. 87/1975" non ha inciso sulle pregresse situazioni di perdita della cittadinanza di una donna maritata con uno straniero. Tanto in applicazione del principio che una pronuncia di incostituzionalità, mentre spiega la sua efficacia sulle situazioni giuridiche non ancora esaurite in quanto tuttora suscettibili di essere diversamente regolate per effetto della pronuncia stessa "lascia salvi tutti gli effetti ormai irrevocabilmente prodottisi in modo definitivo in base alla norma dichiarata incostituzionale".

In altri termini, per il giudice del merito la caducazione automatica della perdita della cittadinanza italiana da parte di una cittadina italiana in conseguenza del suo matrimonio con uno straniero antecedente alla sua data; e neppure il riacquisto automatico della perduta cittadinanza, essendo necessaria, invece, a questo fine una manifestazione di volontà in tale senso della donna.

Pertanto, ha concluso la Corte milanese, "alla luce di tali considerazioni che assorbono ogni questione sollevata con l’appello e rendono irrilevante ogni ulteriore doglianza svolta sotto il profilo della incostituzionalità delle norme applicabili alla fattispecie", si deve escludere che Fernand Antoine Hosri sia divenuto cittadino italiano iure sanguinis o iure communicationis.

4.1. Matilde Arrigoni e Fernand Antoine Hosri hanno proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico articolato motivo di annullamento.

I) In una prospettiva prioritaria i ricorrenti (censurando anche sotto il profilo del vizio di motivazione le opposte conclusioni del giudice d’appello) sostengono che in forza dei principi enucleabili dal regime positivo relativo alla efficacia temporale degli effetti di una pronuncia di incostituzionalità, l’illegittimità costituzionale dell’art. 10, comma terzo della l. 13 giugno 1912 n. 555 dichiarata con la sentenza n. 87 del 1975 ha determinato, sul piano normativo, l’inefficacia della norma sin dalla sua entrata in vigore; inoltre su quello applicativo, l’ablazione automatica dall’effetto della perdita della cittadinanza della donna: dunque, una situazione giuridica incentrata sul presupposto che la donna non abbia mai perso in modo valido la cittadinanza italiana.

A giustificazione del loro assunto i ricorrenti ricordano che la c.d. efficacia retroattiva della pronuncia della Corte Costituzionale dichiarativa della illegittimità costituzionale di una norma incontra solo il limite costituito dall’esistenza di situazioni ormai esaurite per preclusioni nascenti dal giudicato, per atti amministrativi non più impugnabili, o per altri atti o fatti dei quali si siano completamente verificati gli effetti; e sostengono che nella vicenda per cui è controversia non s’è verificata alcuna delle dette ipotesi limitative.

Infatti, osservano, manifestamente, in ordine alla perdita della cittadinanza italiana da parte della Arrigoni non sussiste alcun giudicato, né atto amministrativo non più impugnabile, né estinzione per prescrizione del suo status civitatis originario.

Nel contempo, l’irretrattabilità di quella perdita non può essere ricondotta al precetto di cui all’art., 10, comma terzo della legge n. 555/1912 una volta che questa norma è stata dichiarata incostituzionale, ed è principio che l’intangibilità che limita l’efficacia retroattiva della sentenza della Corte Costituzionale non può trovare la sua fonte nella norma dichiarata illegittima, ma può discendere soltanto da norme processuali o sostanziali diverse da quella incostituzionale.

D’altra parte, nessuna rilevanza può essere attribuita all’anteriorità rispetto alla data del 1° gennaio 1948, della disposizione di cui all’art. 10, comma terzo della legge n. 555/1912, non potendosi condividere il principio tralaticio che l’efficacia della pronuncia di illegittimità costituzionale non può retroagire oltre la data di entrata in vigore della Costituzione (appunto, il 1° gennaio 1948) quando abbia ad oggetto una norma contenuta in una legge od in un atto avente forza di legge anteriore all’entrata in vigore della vigente Costituzione, e sia stata determinata dal contrasto della norma stessa con le norme ed i principi della sopravvenuta carta costituzionale.

Con la conseguenza, concludono che, nel caso di specie, da un canto, nonostante il suo matrimonio col cittadino libanese Antoine El Hosri avvenuto il 1939, la Arrigoni ha conservato ininterrottamente lo status di cittadina italiana che aveva sin dalla nascita; e dall’altro, che – a mente dell’art. 1, comma primo n. 1 della legge n. 555/1912, nel testo risultante dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 30 del 9 febbraio 1983 – il di lei figlio Fernand Antoine nato il 20 gennaio 1942 è, anch’esso, cittadino italiano.

II) In una prospettiva subordinata i ricorrenti sostengono che – diversamente da quanto erroneamente ritenuto dalla Corte milanese – ove si dovesse ammettere che gli effetti della sentenza della Corte Costituzionale n. 87/1975 abbiano retroagito solo sino al 1° gennaio 1948 "deve quanto meno ammettersi, do necessaria conseguenza, che a tale data la signora Arrigoni ha recuperato, ipso iure¸ la cittadinanza italiana che aveva perduto a seguito del matrimonio contratto nel 1939 con un cittadino libanese"; e che, di conseguenza, da quella data il figlio Fernand Antoine è divenuto automaticamente cittadino italiano iure communicationis, posto che all’epoca era ancora minorenne, essendo nato il 20 gennaio 1942, e che per la disposizione di cui all’art. 12, comma primo della legge n. 555/1912, "i figli minori od emancipati di chi acquista o recupera la cittadinanza divengono cittadini".

E’ bensì vero, soggiungono, che la disposizione da ultimo richiamata esclude l’applicabilità del suo precetto nell’ipotesi che i figli "risiedendo all’estero conservino secondo la legge dello Stato cui appartengono, la cittadinanza straniera"; e che questa deroga comporterebbe l’inapplicabilità della regola generale in favore di Fernand Antoine Hosri, una volta che alla data del 1° gennaio 1948 costui risiedeva in Libano ed aveva la cittadinanza libanese. Non è men vero, tuttavia, che una siffatta eccezione è incostituzionale stante il suo contrasto col principio di parità di trattamento rispetto a situazioni analoghe posto dall’art. 3 della Cost.: "mentre al figlio minore di chi recuperi la cittadinanza italiana viene imposta, per divenire cittadino, la condizione del non risiedere all’estero o della non conservazione della cittadinanza dello Stato straniero cui appartiene, …..al minore non emancipato la cui filiazione da cittadino italiano sia riconosciuta o giudizialmente dichiarata (o anche attribuita in uno dei modi di cui agli artt. 269, 273 e 279 cod. civ.) l’art. 2 della legge n. 555/1912 attribuisce automaticamente la cittadinanza italiana alla stessa stregua di coloro che fin dalla nascita sono figli di genitore cittadino"; infatti, "l’analogia tra le due posizioni…. non richiede illustrazioni, né è dato di vedere apprezzabili motivi per una diversa disciplina dell’una rispetto all’altra".

Pertanto, concludono, ove si ritenga il 1° gennaio 1948 quale limite alla retroattività della pronuncia di incostituzionalità si pone, in via preliminare, la questione relativa alla legittimità costituzionale del primo comma dell’art. 12 della legge n. 555/1912, per contrasto con l’art. 3 della Costituzione".

4.2. Il Ministero degli interni resiste con controricorso.

5. LA causa è stata assegnata alle Sezioni Unite, ai sensi dell’art. 374, comma secondo, cod. proc. Civ., perché il ricorso pone questioni di massima di particolare importanza.

6. I ricorrenti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ.

 

MOTIVI DELLA DECISIONE. 1.1. Nel loro sviluppo cronologico i dati di fatto (come accertati dal giudice d’appello) e normativi che assumono rilevanza rispetto alla decisione sul ricorso devono essere così puntualizzati.

Nel 1939 Matilde Arrigoni, all’epoca cittadina italiana contrasse matrimonio col cittadino libanese Antoine El Hosri e, in applicazione della disposizione di cui all’art. 10, comma terzo l. 13 giugno 1912 n. 555, acquisì la cittadinanza libanese e perse quella italiana.

Il 20 gennaio 1942 la Arrigoni generò il figlio Fernand Antoine Hosri che divenne automaticamente cittadino libanese.

Con sentenza 16 aprile 1975 n. 87 la Corte Costituzionale dichiarò l’illegittimità costituzionale del terzo comma dell’art. 10 della legge n. 555/1912 "nella parte in cui, per l’ipotesi di matrimonio di una cittadina italiana con uno straniero per la cui legge nazionale del marito si comunichi alla moglie, prevede la perdita della cittadinanza italiana indipendentemente dalla volontà della moglie".

Anche in funzione di questa pronuncia, l’art. 219, comma primo della l. 19 maggio 1975 n. 151 dispose che "la donna che, per effetto di matrimonio con straniero o di mutamento della cittadinanza da parte del marito, hanno perduto la cittadinanza italiana prima dell’entrata in vigore della presente legge [20 settembre 1975] la riacquista con la dichiarazione resa all’autorità competente a norma dell’art. 36 delle disposizioni di attuazione del codice civile".

Il 23 marzo 1982 la Arrigoni effettuò la dichiarazione prevista dalla norma appena richiamata e – giusta il disposto dell’art. 13, comma primo della legge n. 555/1912 – "riacquistò" la cittadinanza italiana a far data dal 24 marzo 1982, allorquando il figlio Fernand Antoine era ormai maggiorenne avendo compiuto il quarantesimo anno di età.

1.2. La controversia che ne occupa ha quale oggetto principale la questione se Fernand Antoine Hosri sia – come sostiene – cittadino italiano iure sanguinis ai sensi dell’art. 1, comma primo n. 1 della legge n. 555/1912 nel testo risultante dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 39/1983 per essere nato da madre che, alla data della nascita, era cittadina italiana; o, quanto meno, iure communicationis ai sensi dell’art. 12, comma primo della predetta legge n. 555/1912 per aver la madre riacquistato la cittadinanza italiana quando egli era ancora minorenne.

Come è immediatamente palese la soluzione di tale questione è direttamente subordinata all’acclaramento dello status civitatis della Arrigoni nel periodo compreso tra il 20 gennaio 1942 (data della nascita del figlio Fernand Antoine) e il 20 gennaio 1963, data nella quale detto figlio ha acquistato la maggiore età, essendo incontroverso, ed incontrovertibile che, ove costei abbia recuperato la cittadinanza dopo questa data, sarebbe automaticamente da escludere che il figlio sia divenuto cittadino italiano anche iure communicationis.

A questo fine, tenuto conto che, sul piano formale, durante quel periodo la Arrigoni era cittadina libanese, il tema dell’indagine viene ad incentrarsi sul problema relativo alla identificazione degli effetti della richiamata sentenza della Corte Costituzionale n. 87/1975 sul suo status civitatis, con specifico riferimento alla circostanza che questa pronuncia ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una norma anteriore alla vigente Costituzione per il suo contrasto con le norme ed i principi introdotti da questa carta costituzionale.

2.1. Costituiva fermi orientamento di questa Corte Suprema, anche a sezioni unite, che, in via generale, la norma dichiarata costituzionalmente illegittima, comportando la sentenza della Corte Costituzionale la sua definitiva ed integrale eliminazione dall’ordinamento con efficacia erga omnes deve essere disapplicata anche d’ufficio, dal primo giorno successivo alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del dispositivo della decisione della Corte Costituzionale, rispetto a tutti i rapporti per i quali penda controversia giudiziale, compresi quelli precostituiti salvo che, rispetto ad essi, si siano determinate situazioni giuridiche ormai esaurite, consolidate ed intangibili, suscettibili - come tali – di essere diversamente regolate prescindendo dalla norma dichiarata incostituzionale; ma che, peraltro, quando la pronuncia di illegittimità costituzionale abbia ad oggetto una norma contenuta in una legge o in un atto anteriore all’entrata in vigore della Costituzione e sia stata determinata dal contrasto della norma dichiarata illegittima con norme e principi propri della vigente carta costituzionale, i suoi effetti, anche rispetto ai rapporti ancora pendenti, non possono retroagire oltre il momento in cui il detto contrasto è venuto a verificarsi e, quindi, oltre il 1° gennaio 1948, data di entrata in vigore della Costituzione (v. Cass. 23 febbraio 1978 n. 903, 9 luglio 1974 n. 2022, 24 aprile 1974 n. 1287, 10 luglio 1971 n. 2222, 4 giugno 1969; S.U., 22 giugno 1963 n. 1706).

L’orientamento (che è stato condiviso dalla Corte di Costituzionale nella sentenza n. 58 del 5 maggio 1967 e dalla dottrina nettamente maggioritaria, ma dal quale si sono consapevolmente discostate le sentenze della I sezione civile 10 luglio 1996 n. 6297 e 18 novembre 1996 n. 10086) deve essere ribadito.

La categoria relativa alla ipotesi della declaratoria di illegittimità di una norma anteriore al 1° gennaio 1948 in conseguenza del mutamento del quadro costituzionale di riferimento dato dalla vigente Costituzione si inserisce a pieno titolo in quella c.d. della incostituzionalità sopravvenuta. In ordine ad una norma, infatti, il vizio di illegittimità si configura non già sin dall’origine, ma solo in coincidenza con l’entrata in vigore della Costituzione, così come, del resto, è stato sottolineato dalla stessa Corte Costituzionale già nella sentenza n. 58/1967, allorquando ha affermato che gli effetti della pronuncia di incostituzionalità discendono "da una dichiarazione di invalidità che inficia… la disposizione impugnata fin dall’origine o fin dall’emanazione della Costituzione per leggi a questa anteriori".

Ora, anche sulla base di specifiche statuizioni della stessa Corte Costituzionale, costituisce ormai diritto vivente che l’efficacia retroattiva della sentenza declaratoria dell’illegittimità costituzionale di una norma sin dal momento in cui è entrata in vigore trova piena applicazione solo con riferimento alla categoria delle norme incostituzionali ab initio; e che, invece allorquando la norma stessa sia venuta a collidere con i parametri costituzionali solo successivamente alla data della sua entrata in vigore (la incostituzionalità sopravvenuta), allora il termine di decorrenza degli effetti della dichiarazione di incostituzionalità coincide (e deve coincidere) con il momento in cui il vizio di incostituzionalità si è concretizzato: infatti è solo in questo momento che si determina l’antinomia costituzionale della legge, il che significa che sino a quel momento la legge stessa legittima e valida, sicchè sarebbe necessariamente illogica e contraddittoria una retroattività che si estendesse a colpire la norma anche nel periodo della sua validità.

Peraltro, (e ciò, appunto, la conferma dell’orientamento meno recente) in ordine alla categoria che qui interessa non può che trovare applicazione il regime della retroattività degli effetti della sentenza della Corte Costituzionale proprio delle sentenze rese in ipotesi di incostituzionalità sopravvenuta: vale a dire, che la retroattività non può essere anteriore al 1° gennaio 1948, data di entrata in vigore della Costituzione. Correlativamente, i rapporti e le situazioni sorti in data anteriore al 1° gennaio 1948 rimangono assoggettati alla disciplina previgente all’emanazione della carta costituzionale, anche se sono non consolidati, non esauriti e non irretrattabili prescindendo dalla norma dichiarata incostituzionale.

2.2. Ebbene, la sentenza della Corte Costituzionale n. 87/1975 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del precetto di cui al terzo comma dell’art. 10 della legge n. 555/1912 per il suo contrasto con gli artt. 3 e 29 della Costituzione, ossia per una antinomia costituzionale sopravvenuta a seguito della entrata in vigore della nostra carta fondamentale.

Ne discende immediatamente che gli effetti di detta pronuncia di incostituzionalità non possono retroagire altre la data del 1° gennaio 1948, sicchè i rapporti sorti e le situazioni verificatesi anteriormente a questa data rimangono intangibili e non possono essere in alcun modo incisi dalla sentenza stessa.

In altri termini, con riferimento ad un matrimonio – contratto avanti il 1° gennaio 1948 – di una cittadina italiana con uno straniero la cui cittadinanza si comunichi alla moglie, il matrimonio ha comportato: che la donna abbia perso validamente la cittadinanza italiana, interrompendo così, definitivamente , il relativo status; che questo effetto giuridico, in sé e per sé considerato, non è stato inciso in alcun modo dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 87/1975; e, di conseguenza, che detta sentenza, mentre non ha reso tamquam non esset la perdita della cittadinanza, ha prodotto il limitato risultato di attribuire alla donna il diritto di "riacquistate", ove lo voglia, la cittadinanza italiana.

Non può condividere, perciò, la costruzione, prospettata in via prioritaria dai ricorrenti, secondo cui detta sentenza ha comportato, in una con l’ablazione ipso iure della perdita d cittadinanza, che la donna abbia conservato il proprio status civitatis anteriore al matrimonio, ininterrottamente, automaticamente ed indipendentemente dalla sua volontà.

Tanto a definitiva ragione, ove si consideri che la costruzione qui disattesa, nell’escludere il concorso della volontà della donna, e della relativa manifestazione, in ordine alla determinazione della propria cittadinanza dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 87/1975, per un verso, si pone in intimo ed essenziale contrasto proprio con i principi sottesi a detta pronuncia, una volta che il giudice delle leggi ha individuato la ragione della incostituzionalità nel dato che predetto di cui all’art. 10, comma terzo della legge n. 555/1912 determina il mutamento della cittadinanza della donna indipendentemente dalla sua volontà; per altro verso, potrebbe comportare per la donna, situazioni giuridiche pregiudicanti da lei non volute, costringendola, così , per evitarle, ad una successiva formale dichiarazione di rinuncia alla cittadinanza italiana.

2.3 Quindi, la sentenza della Corte Costituzionale n. 87/1975 ha avuto l’effetto non già di escludere che la Arrigoni abbi perso la cittadinanza italiana, ma quello, e soltanto quello, di attribuire il diritto di "riacquistare" detta cittadinanza, attraverso la relativa manifestazione di volontà.

Ne deriva che alla data del 20 gennaio 1942 la Arrigoni era cittadina libanese, si che difetta il presupposto previsto dall’art. 1 n. 1 della legge n. 555/1912 (essere nato da madre che al momento della nascita sia cittadina italiana) perché il figlio Fernand Antoine, nato quel giorno, sia divenuto cittadino italiano iure sanguinis.

2.4. Pertanto – emendata ed integrata la motivazione della sentenza d’appello nei termini in qui esposti – le censure sviluppate in via prioritaria dai ricorrenti risultano infondate e devono essere respinte.

3. Tenuto conto delle sue particolarità, nella specie non rileva accertare se il riacquisto della cittadinanza italiana da parte della Arrigoni a seguito della sua dichiarazione in tale senso del 23 marzo 1982 produca i suoi effetti a decorrere dal 24 marzo 1983, così come previsto dal combinato disposto degli artt. 219, comma primo della l. 19 maggio 1975 n. 151 e 12, comma primo della legge n. 555/1912; ovvero retroagisca al 1° gennaio 1948 in forza della efficacia retroattiva (sia pure limitata) della sentenza della Corte Costituzionale n. 87/1975, così come sostengono i ricorrenti nella prospettiva subordinata.

Invero, la Arrigoni non ha (né ha enunciato di avere) un diretto interesse personale alla anticipazione della data degli effetti del riacquisto della cittadinanza.

Inoltre, anche ammettere che gli effetti del riacquisto decorrano dal 1° gennaio 1948, ciò non comporterebbe che il figlio Fernand Antoine è divenuto cittadino italiano iure communicationis ai sensi dell’art. 12, comma primo della legge n. 555/1912.

Per vero, detta disposizione non trova applicazione ove, nella data in cui il genitore acquista o riacquista la cittadinanza italiana, il figlio minore "risiedendo all’estero conservi, secondo la legge dello Stato cui appartiene, la cittadinanza straniera", e in quella data l’attuale ricorrente risiedeva all’estero ed aveva la cittadinanza libanese.

Nel contempo risulta manifestamente infondata la questione di costituzionalità della limitazione nei confronti dei figli minori che risiedono all’estero e che conservano la cittadinanza italiana per il contrasto con l’art. 3 della Costituzione in funzione della asserita ingiustificata disparità di trattamento tra i regimi di cui agli artt. 2, comma primo e 12, comma primo della legge n. 555/1912.

Infatti, tra le due norme sussiste una netta diversità in ordine al presupposto (lo status civitatis del genitore, e non il rapporto di filiazione in sé e per sé considerato) e alle situazioni rispettivamente considerate, che ben può supportare il diverso regime giuridico.

L’art. 2 riguarda l’ipotesi che il genitore fosse cittadino italiano al momento in cui è sorto il rapporto di filiazione naturale e sia sempre rimasto tale; ed attribuisce la cittadinanza italiana al figlio (il cui stato di filiazione sia stato acclarato successivamente alla nascita) iure sanguinis, con effetto coevo alla sua data di nascita.

L’art. 12, invece, riguarda l’ipotesi che il genitore abbia acquistato o riacquistato, la cittadinanza italiana, ossia che il genitore sia divenuto cittadino italiano successivamente al sorgere della situazione di filiazione, si che in questo momento fosse straniero ed abbia attribuito al figlio il proprio status civitatis non italiano per ius sanguinis; e dispone che il minore diventi automaticamente cittadino italiano iure communicationis, ma solo a far data dal giorno in cui, a sua volta, il genitore abbia acquistato o riacquistato la cittadinanza italiana.

Quindi, neanche la costruzione proposta dai ricorrenti in via subordinata è fondata.

3. Ne consegue il rigetto del ricorso.

4. Sussistono giusti motivi per compensare per intero tra le parti le spese di giudizio di legittimità.

 

P.Q.M., la Corte Suprema di Cassazione a sezioni unite rigetta il ricorso proprosto da Matilde Arrigoni e da Fernand Antoine Hosri avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano n. 2393 del 19 novembre 1993; compensa per intero tra le parti le spese del giudizio di cassazione.