Atti e comportamenti discriminatori - normativa ed azioni

Atti e comportamenti discriminatori

Nonostante talune recenti tendenze, l'evoluzione legislativa ed europea resta profondamente radicato nella condanna di qualsiasi discriminazione.


I principi sono contenuti in una serie di norme di riferimento:

1) L' art. 43 del D.lgs 286/1998 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero c.d. "T.U. IMMIGRAZIONE - TURCO NAPOLITANO" ) così descrive gli atti discriminatori:

Art. 43 D.lgs 286/1998

"1. Ai fini del presente capo, costituisce discriminazione ogni comportamento che, direttamente o indirettamente, comporti una distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore, l'ascendenza o l'origine nazionale o etnica, le convinzioni e le pratiche religiose, e che abbia lo scopo o l'effetto di distruggere o di compromettere il riconoscimento, il godimento o l'esercizio, in condizioni di parità, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale e culturale e in ogni altro settore della vita pubblica.

2. In ogni caso compie un atto di discriminazione:

a) il pubblico ufficiale o la persona incaricata di pubblico servizio o la persona esercente un servizio di pubblica necessità che nell'esercizio delle sue funzioni compia od ometta atti nei riguardi di un cittadino straniero che, soltanto a causa della sua condizione di straniero o di appartenente ad una determinata razza, religione, etnia o nazionali, lo discriminino ingiustamente;

b) chiunque imponga condizioni più svantaggiose o si rifiuti di fornire beni o servizi offerti al pubblico ad uno straniero soltanto a causa della sua condizione di straniero o di appartenente ad una determinata razza, religione, etnia o nazionalità;

c) chiunque illegittimamente imponga condizioni più svantaggiose o si rifiuti di fornire l'accesso all'occupazione, all'alloggio, all'istruzione, alla formazione e ai servizi sociali e socio-assistenziali allo straniero regolarmente soggiornante in Italia soltanto in ragione della sua condizione di straniero o di appartenente ad una determinata razza, religione, etnia o nazionalità;

d) chiunque impedisca, mediante azioni od omissioni, l'esercizio di un'attività economica legittimamente intrapresa da uno straniero regolarmente soggiornante in Italia, soltanto in ragione della sua condizione di straniero o di appartenente ad una determinata razza, confessione religiosa, etnia o nazionalità;

e) il datore di lavoro o i suoi preposti i quali, ai sensi dell'articolo 15 della legge 20 maggio 1970, n. 300, come modificata e integrata dalla legge 9 dicembre 1977, n. 903, e dalla legge 11 maggio 1990, n. 108, compiano qualsiasi atto o comportamento che produca un effetto pregiudizievole discriminando, anche indirettamente, i lavoratori in ragione della loro appartenenza ad una razza, ad un gruppo etnico o linguistico, ad una confessione religiosa, ad una cittadinanza. Costituisce discriminazione indiretta ogni trattamento pregiudizievole conseguente all'adozione di criteri che svantaggino in modo proporzionalmente maggiore i lavoratori appartenenti ad una determinata razza, ad un determinato gruppo etnico o linguistico, ad una determinata confessione religiosa o ad una cittadinanza e riguardino requisiti non essenziali allo svolgimento dell'attività lavorativa.

3. Il presente articolo e l'articolo 44 si applicano anche agli atti xenofobi, razzisti o discriminatori compiuti nei confronti dei cittadini italiani, di apolidi e di cittadini di altri Stati membri dell'Unione europea presenti in Italia.

 

In base a questa norma pertanto l'atto discriminatorio si identifica con ogni comportamento che compromette l'esercizio dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Più precisa è la violazione commessa dal Pubblico Ufficiale, e dal datore di lavoro, per i quali l'atto discriminatorio consiste nel rendere più gravoso per lo "straniero", inteso in senso lato, il lavoro o la tutela giuridica pubblica.

 

2) Nel campo del lavoro, la Convenzione O.I.L. del 28 giugno 1958 n. 111, ratificata con legge 6 febbraio 1963 n.405 (Convenzione sulle discriminazioni in materioa di impiego e nelle professioni, - vedi LINK - ) descrive i comportamenti discriminatori con riferimento ai lavoratori:

Articolo 1

1. Ai fini della presente convenzione, il termine «discriminazione» comprende:
a) ogni distinzione, esclusione o preferenza fondata sulla razza, il colore, il sesso, la
religione, l’opinione politica, la discendenza nazionale o l’origine sociale, che ha per
effetto di negare o di alterare l’uguaglianza di possibilità o di trattamento in materia
d’impiego o di professione;
b)ogni altra distinzione, esclusioni o preferenza che abbia per effetto di negare o di alterare
l’uguaglianza di possibilità o di trattamento in materia d’impiego o di professione, che
potrà essere precisata dallo Stato membro interessato sentite le organizzazioni
rappresentative dei datori di lavoro e dei lavoratori, se ne esistono, ed altri organismi
appropriati.

 

3) Altro testo fondamentale in materia di discriminazione è la Convenzione Internazionale sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale, aperta a New York il 7 marzo 1966 e ratificata con legge 1 ottobre 1975 n. 654 (Vedi LINK)

L'art. 1 della Convenzione definisce gli atti discriminatori:

Art. 1.

1. Nella presente Convenzione, l'espressione "discriminazione razziale" sta ad indicare ogni distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore, l'ascendenza o l'origine nazionale o etnica, che abbia lo scopo o l'effetto di distruggere o di compromettere il riconoscimento, il godimento o l'esercizio, in condizioni di parità, dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale e culturale o in ogni altro settore della vita pubblica.

2. La presente Convenzione non si applica alle distinzioni, esclusioni, restrizioni o trattamenti preferenziali stabiliti da uno Stato parte della Convenzione a seconda che si tratti dei propri cittadini o dei non-cittadini.

3. Nessuna disposizione della presente Convenzione può essere interpretata come contrastante con le disposizioni legislative degli Stati parti della Convenzione e che si riferiscono alla nazionalità, alla cittadinanza o alla naturalizzazione, a condizione che tali disposizioni non siano discriminatorie nei confronti di una particolare nazionalità.

4. Le speciali misure adottate al solo scopo di assicurare convenientemente il progresso di alcuni gruppi razziali od etnici o di individui cui occorra la protezione necessaria per permettere loro il godimento e l'esercizio dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali in condizioni di eguaglianza non sono considerate misure di discriminazione razziale, a condizione tuttavia che tali misure non abbiano come risultato la conservazione di diritti distinti per speciali gruppi razziali e che non vengano tenute in vigore una volta che siano raggiunti gli obiettivi che si erano prefisse.

 

 

 *  *  *  *  *  *

 

LE AZIONI CIVILI CONTRO LA DISCRIMINAZIONE

Le controversie in materia di condotte discriminatorie sono disciplinate dall'art. 44 del D.lgs 286 del 1998:

 

ARTICOLO N.44 - Azione civile contro la discriminazione.

1. Quando il comportamento di un privato o della pubblica amministrazione produce una discriminazione per motivi razziali, etnici, linguistici, nazionali, di provenienza geografica o religiosi, e' possibile ricorrere all'autorita' giudiziaria ordinaria per domandare la cessazione del comportamento pregiudizievole e la rimozione degli effetti della discriminazione (1).

2. Alle controversie previste dal presente articolo si applica l'articolo 28 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150 (2).

(commi da 3 a 10 abrogati)

10. Qualora il datore di lavoro ponga in essere un atto o una comportamento discriminatorio di carattere collettivo, anche in casi in cui non siano individuabili in modo immediato e diretto i lavoratori lesi dalle discriminazioni, il ricorso può essere presentato dalle rappresentanze locali delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello nazionale. [Il giudice, nella sentenza che accerta le discriminazioni sulla base del ricorso presentato ai sensi del presente articolo, ordina al datore di lavoro di definire, sentiti i predetti soggetti e organismi, un piano di rimozione delle discriminazioni accertate.] (10)

11. Ogni accertamento di atti o comportamenti discriminatori ai sensi dell'articolo 43 posti in essere da imprese alle quali siano stati accordati benefìci ai sensi delle leggi vigenti dello Stato o delle regioni, ovvero che abbiano stipulato contratti di appalto attinenti all'esecuzione di opere pubbliche, di servizi o di forniture, è immediatamente comunicato dal tribunale in composizione monocratica, secondo le modalità previste dal regolamento di attuazione, alle amministrazioni pubbliche o enti pubblici che abbiano disposto la concessione del beneficio, incluse le agevolazioni finanziarie o creditizie, o dell'appalto. Tali amministrazioni, o enti revocano il beneficio e, nei casi più gravi, dispongono l'esclusione del responsabile per due anni da qualsiasi ulteriore concessione di agevolazioni finanziarie o creditizie, ovvero da qualsiasi appalto (11).

12. Le regioni, in collaborazione con le province e con i comuni, con le associazioni di immigrati e del volontariato sociale, ai fini dell'applicazione delle norme del presente articolo e dello studio del fenomeno, predispongono centri di osservazione, di informazione e di assistenza legale per gli stranieri, vittime delle discriminazioni per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.

 

Il procedimento è regolato dall'art. 28 del D.lvo 1 settembre 2011 n.150 (Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell'articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69 (SEMPLIFICAZIONE DEI RITI):

ARTICOLO N.28 D.lvo 150/2011 - Delle controversie in materia di discriminazione

1. Le controversie in materia di discriminazione di cui all'articolo 44 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, quelle di cui all'articolo 4 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215, quelle di cui all'articolo 4 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, quelle di cui all'articolo 3 della legge 1° marzo 2006, n. 67, e quelle di cui all'articolo 55-quinquies del decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, sono regolate dal rito sommario di cognizione, ove non diversamente disposto dal presente articolo.

2. E' competente il tribunale del luogo in cui il ricorrente ha il domicilio.

3. Nel giudizio di primo grado le parti possono stare in giudizio personalmente.

4. Quando il ricorrente fornisce elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico, dai quali si puo' presumere l'esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori, spetta al convenuto l'onere di provare l'insussistenza della discriminazione. I dati di carattere statistico possono essere relativi anche alle assunzioni, ai regimi contributivi, all'assegnazione delle mansioni e qualifiche, ai trasferimenti, alla progressione in carriera e ai licenziamenti dell'azienda interessata.

5. Con l'ordinanza che definisce il giudizio il giudice puo' condannare il convenuto al risarcimento del danno anche non patrimoniale e ordinare la cessazione del comportamento, della condotta o dell'atto discriminatorio pregiudizievole, adottando, anche nei confronti della pubblica amministrazione, ogni altro provvedimento idoneo a rimuoverne gli effetti. Al fine di impedire la ripetizione della discriminazione, il giudice puo' ordinare di adottare, entro il termine fissato nel provvedimento, un piano di rimozione delle discriminazioni accertate. Nei casi di comportamento discriminatorio di carattere collettivo, il piano e' adottato sentito l'ente collettivo ricorrente.

6. Ai fini della liquidazione del danno, il giudice tiene conto del fatto che l'atto o il comportamento discriminatorio costituiscono ritorsione ad una precedente azione giudiziale ovvero ingiusta reazione ad una precedente attivita' del soggetto leso volta ad ottenere il rispetto del principio della parita' di trattamento.

7. Quando accoglie la domanda proposta, il giudice puo' ordinare la pubblicazione del provvedimento, per una sola volta e a spese del convenuto, su un quotidiano di tiratura nazionale. Dell'ordinanza e' data comunicazione nei casi previsti dall'articolo 44, comma 11, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, dall'articolo 4, comma 1, del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215, dall'articolo 4, comma 2, del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, e dall'articolo 55-quinquies, comma 8, del decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198.

 

   Qualora il ricorrente fornisca dati di fatto ed elementi di prova significativi, è invertito l'onere della prova, perchè spetta al convenuto dimostrare che non vi sono stati atti discriminatori.

L'art. 28 regola la procedura per l'azione civile non solo per i motivi elencati all'art. 43 del Dlgs286 del 1998, ma anche negli altri casi di discriminazione, previsti dalle seguenti norme:

A)  art. 4 del D.Lgs 215/2003 (DECRETO LEGISLATIVO 9 luglio 2003 n. 215  - Attuazione della direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica. )

Art. 4 Dlgs 215/2003 (tutela giurisdizionale dei diritti)

1. I giudizi civili avverso gli atti e i comportamenti di cui all'articolo 2 sono regolati dall'articolo 28 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n.150. In caso di accertamento di atti o comportamenti discriminatori, come definiti dall'articolo 2 del presente decreto, si applica, altresi', l'articolo 44, comma 11, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (1).

2. Chi intende agire in giudizio per il riconoscimento della sussistenza di una delle discriminazioni di cui all'articolo 2 e non ritiene di avvalersi delle procedure di conciliazione previste dai contratti collettivi, può promuovere il tentativo di conciliazione ai sensi dell'articolo 410 del codice di procedura civile o, nell'ipotesi di rapporti di lavoro con le amministrazioni pubbliche, ai sensi dell'articolo 66 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, anche tramite le associazioni di cui all'articolo 5, comma 1.

7. Resta salva la giurisdizione del giudice amministrativo per il personale di cui all'articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.

 

B)  art. 4 del Dlgs 216/2003 (DECRETO LEGISLATIVO 9 luglio 2003, n. 216 - Attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro). 

ARTICOLO N.4 D.lgs 216 del 2003:

Tutela giurisdizionale dei diritti

Art. 4.

1 . All'articolo 15, comma 2, della legge 20 maggio 1970, n. 300, dopo la parola «sesso» sono aggiunte le seguenti: «, di handicap, di età o basata sull'orientamento sessuale o sulle convinzioni personali».

2. I giudizi civili avverso gli atti e i comportamenti di cui all'articolo 2 sono regolati dall'articolo 28 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150. In caso di accertamento di atti o comportamenti discriminatori, come definiti dall'articolo 2 del presente decreto, si applica, altresi', l'articolo 44, comma 11, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (1).

3. Chi intende agire in giudizio per il riconoscimento della sussistenza di una delle discriminazioni di cui all'articolo 2 e non ritiene di avvalersi delle procedure di conciliazione previste dai contratti collettivi, può promuovere il tentativo di conciliazione ai sensi dell'articolo 410 del codice di procedura civile o, nell'ipotesi di rapporti di lavoro con le amministrazioni pubbliche, ai sensi dell'articolo 66 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, anche tramite le rappresentanze locali di cui all'articolo 5.

 

8. Resta salva la giurisdizione del giudice amministrativo per il personale di cui all'articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.

 

 

C) D.Lgs 198 del 2006 (Codice delle pari opportunità tra uomo e donna)

Qualora i provvedimenti del Giudice non vengano rispettati, ai sensi dell'art. 44 del Dlgs 286 del 1998 tale comportamento integra la fattispecie di cui all'art.388, coma 1, del codice penale:

ARTICOLO N.388 - Mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice.

[I]. Chiunque, per sottrarsi all'adempimento degli obblighi nascenti da un provvedimento dell'autorità giudiziaria, o dei quali è in corso l'accertamento dinanzi all'autorità giudiziaria stessa, compie, sui propri o sugli altrui beni, atti simulati o fraudolenti, o commette allo stesso scopo altri fatti fraudolenti, e` punito, qualora non ottemperi all'ingiunzione di eseguire il provvedimento, con la reclusione fino a tre anni o con la multa da euro 103 a euro 1.032.

[II]. La stessa pena si applica a chi elude l'esecuzione di un provvedimento del giudice civile, ovvero amministrativo o contabile, che concerna l'affidamento di minori o di altre persone incapaci, ovvero prescriva misure cautelari a difesa della proprietà, del possesso o del credito.

[III]. Chiunque sottrae, sopprime, distrugge, disperde o deteriora una cosa di sua proprietà sottoposta a pignoramento ovvero a sequestro giudiziario o conservativo è punito con la reclusione fino a un anno e con la multa fino a euro 309.

[IV]. Si applicano la reclusione da due mesi a due anni e la multa da euro 30 a euro 309 se il fatto è commesso dal proprietario su una cosa affidata alla sua custodia, e la reclusione da quattro mesi a tre anni e la multa da euro 51 a euro 516 se il fatto è commesso dal custode al solo scopo di favorire il proprietario della cosa.

[V]. Il custode di una cosa sottoposta a pignoramento ovvero a sequestro giudiziario o conservativo che indebitamente rifiuta, omette o ritarda un atto dell'ufficio è punito con la reclusione fino ad un anno o con la multa fino a euro 516.

[VI]. La pena di cui al quinto comma si applica al debitore o all'amministratore, direttore generale o liquidatore della società debitrice che, invitato dall'ufficiale giudiziario a indicare le cose o i crediti pignorabili, omette di rispondere nel termine di quindici giorni o effettua una falsa dichiarazione.

[VII]. Il colpevole è punito a querela della persona offesa

 

 

La condanna comporta le conseguenze di cui all'art. 44 del Dlgs 286/1998, comma 11: le imprese che godono di benefici pubblici o che partecipano ad appalti pubblici, vedranno revocati questi benefici perchè il Giudice comunica all'Amministrazione la condanna od il provvedimento. Inoltre l'art. 44 comma 11 prevede appositi Centri di osservazione per vigilare sull'osservanza delle disposizioni in materia di discriminazione.

 

 

La tutela giuridica contro il razzismo

Vedi La Direttiva 2000/43/CE contro il razzismo
http://www.provincia.pisa.it/uploads/2007_10_18_23_03_09.pdf

Questa direttiva è stata recepita dal D.lgs 9 luglio 2003 n.215.

 

DECRETO LEGISLATIVO 9 luglio 2003 n. 215 (in Gazz. uff. 12 agosto, n. 186). - Attuazione della direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica.

 

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Vista la direttiva 2000/43/CE del Consiglio, del 29 giugno 2000, sull'attuazione del principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica;

Visto l'articolo 29 della legge 1° marzo 2002, n. 39, ed in particolare l'allegato B;

Visto il testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, approvato con decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni;

Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 28 marzo 2003;

Acquisiti i pareri delle competenti Commissioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica;

Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 3 luglio 2003;

Sulla proposta del Ministro per le politiche comunitarie, del Ministro del lavoro e delle politiche sociali e del Ministro per le pari opportunità, di concerto con il Ministro degli affari esteri, con il Ministro della giustizia e con il Ministro dell'economia e delle finanze;

Emana

il seguente decreto legislativo:

 

ARTICOLO N.1
Oggetto

Art. 1.

1. Il presente decreto reca le disposizioni relative all'attuazione della parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica, disponendo le misure necessarie affinché le differenze di razza o di origine etnica non siano causa di discriminazione, anche in un'ottica che tenga conto del diverso impatto che le stesse forme di discriminazione possono avere su donne e uomini, nonché dell'esistenza di forme di razzismo a carattere culturale e religioso.

 

ARTICOLO N.2
Nozione di discriminazione

Art. 2.

1. Ai fini del presente decreto, per principio di parità di trattamento si intende l'assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta a causa della razza o dell'origine etnica. Tale principio comporta che non sia praticata alcuna discriminazione diretta o indiretta, così come di seguito definite:

a) discriminazione diretta quando, per la razza o l'origine etnica, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un'altra in situazione analoga;

b) discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri possono mettere le persone di una determinata razza od origine etnica in una posizione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone.

2. È fatto salvo il disposto dell'articolo 43, commi 1 e 2, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, approvato con decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, di seguito denominato: «testo unico».

3. Sono, altresì, considerate come discriminazioni, ai sensi del comma 1, anche le molestie ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per motivi di razza o di origine etnica, aventi lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo (1).

4. L'ordine di discriminare persone a causa della razza o dell'origine etnica è considerato una discriminazione ai sensi del comma 1.

(1) Comma modificato dall' articolo 8-sexies, comma 1, lettera a), del D.L. 8 aprile 2008, n. 59, convertito, con modificazioni, dalla Legge 6 giugno 2008, n. 101 .

 

ARTICOLO N.3
Ambito di applicazione

Art. 3.

1. Il principio di parità di trattamento senza distinzione di razza ed origine etnica si applica a tutte le persone sia nel settore pubblico che privato ed è suscettibile di tutela giurisdizionale, secondo le forme previste dall'articolo 4, con specifico riferimento alle seguenti aree:

a) accesso all'occupazione e al lavoro, sia autonomo che dipendente, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione;

b) occupazione e condizioni di lavoro, compresi gli avanzamenti di carriera, la retribuzione e le condizioni del licenziamento;

c) accesso a tutti i tipi e livelli di orientamento e formazione professionale, perfezionamento e riqualificazione professionale, inclusi i tirocini professionali;

d) affiliazione e attività nell'ambito di organizzazioni di lavoratori, di datori di lavoro o di altre organizzazioni professionali e prestazioni erogate dalle medesime organizzazioni;

e) protezione sociale, inclusa la sicurezza sociale;

f) assistenza sanitaria;

g) prestazioni sociali;

h) istruzione;

i) accesso a beni e servizi, incluso l'alloggio.

2. Il presente decreto legislativo non riguarda le differenze di trattamento basate sulla nazionalità e non pregiudica le disposizioni nazionali e le condizioni relative all'ingresso, al soggiorno, all'accesso all'occupazione, all'assistenza e alla previdenza dei cittadini dei Paesi terzi e degli apolidi nel territorio dello Stato, nè qualsiasi trattamento, adottato in base alla legge, derivante dalla condizione giuridica dei predetti soggetti.

3. Nel rispetto dei principi di proporzionalità e ragionevolezza, nell'ambito del rapporto di lavoro o dell'esercizio dell'attività di impresa, non costituiscono atti di discriminazione ai sensi dell'articolo 2 quelle differenze di trattamento dovute a caratteristiche connesse alla razza o all'origine etnica di una persona, qualora, per la natura di un'attività lavorativa o per il contesto in cui essa viene espletata, si tratti di caratteristiche che costituiscono un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell'attività medesima.

4. Non costituiscono, comunque, atti di discriminazione ai sensi dell'articolo 2 quelle differenze di trattamento che, pur risultando indirettamente discriminatorie, siano giustificate oggettivamente da finalità legittime perseguite attraverso mezzi appropriati e necessari.

 

ARTICOLO N.4
Tutela giurisdizionale dei diritti

Art. 4.

1. I giudizi civili avverso gli atti e i comportamenti di cui all'articolo 2 sono regolati dall'articolo 28 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n.150. In caso di accertamento di atti o comportamenti discriminatori, come definiti dall'articolo 2 del presente decreto, si applica, altresi', l'articolo 44, comma 11, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (1).

2. Chi intende agire in giudizio per il riconoscimento della sussistenza di una delle discriminazioni di cui all'articolo 2 e non ritiene di avvalersi delle procedure di conciliazione previste dai contratti collettivi, può promuovere il tentativo di conciliazione ai sensi dell'articolo 410 del codice di procedura civile o, nell'ipotesi di rapporti di lavoro con le amministrazioni pubbliche, ai sensi dell'articolo 66 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, anche tramite le associazioni di cui all'articolo 5, comma 1.

[3. Quando il ricorrente fornisce elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico, idonei a fondare, in termini precisi e concordanti, la presunzione dell'esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori, spetta al convenuto l'onere di provare l'insussistenza della discriminazione.] (2)

[4. Con il provvedimento che accoglie il ricorso il giudice, oltre a provvedere, se richiesto, al risarcimento del danno anche non patrimoniale, ordina la cessazione del comportamento, della condotta o dell'atto discriminatorio, ove ancora sussistente, nonché la rimozione degli effetti. Al fine di impedirne la ripetizione, il giudice può ordinare, entro il termine fissato nel provvedimento, un piano di rimozione delle discriminazioni accertate.] (3)

[ 5. Il giudice tiene conto, ai fini della liquidazione del danno di cui al comma 4, che l'atto o il comportamento discriminatorio costituiscono ritorsione ad una precedente azione giudiziale ovvero ingiusta reazione ad una precedente attività del soggetto leso volta ad ottenere il rispetto del principio della parità di trattamento.] (4)

[6. Il giudice può ordinare la pubblicazione del provvedimento di cui ai commi 4 e 5, a spese del convenuto, per una sola volta su un quotidiano di tiratura nazionale.] (5)

7. Resta salva la giurisdizione del giudice amministrativo per il personale di cui all'articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.

(1) Comma modificato dall' articolo 8-sexies, comma 1, lettera b), numero 1), del D.L. 8 aprile 2008, n. 59, convertito, con modificazioni, dalla Legge 6 giugno 2008, n. 101 e successivamente sostituito dall'articolo 34, comma 33, lettera a), del D.Lgs. 1° settembre 2011 n. 150.

(2) Comma sostituito dall' articolo 8-sexies, comma 1, lettera b), numero 2), del D.L. 8 aprile 2008, n. 59, convertito, con modificazioni, dalla Legge 6 giugno 2008, n. 101 e successivamente abrogato dall'articolo 34, comma 33, lettera b), del D.Lgs. 1° settembre 2011 n. 150.

(3) Comma abrogato dall'articolo 34, comma 33, lettera b), del D.Lgs. 1° settembre 2011 n. 150.

(4) Comma abrogato dall'articolo 34, comma 33, lettera b), del D.Lgs. 1° settembre 2011 n. 150.

(5) Comma modificato dall'articolo 1, comma 1, del D.Lgs. 2 agosto 2004, n. 256 e, successivamente, abrogato dall'articolo 34, comma 33, lettera b), del D.Lgs. 1° settembre 2011 n. 150.

 

ARTICOLO N.4 bis
(Protezione delle vittime).

Art. 4-bis (1).

1. La tutela giurisdizionale di cui all'articolo 4 si applica altresì nei casi di comportamenti, trattamenti o altre conseguenze pregiudizievoli posti in essere o determinate, nei confronti della persona lesa da una discriminazione diretta o indiretta o di qualunque altra persona, quale reazione ad una qualsiasi attività diretta ad ottenere la parità di trattamento.

(1) Articolo inserito dall' articolo 8-sexies, comma 1, lettera c), del D.L. 8 aprile 2008, n. 59, convertito, con modificazioni, dalla Legge 6 giugno 2008, n. 101.

 

ARTICOLO N.5
Legittimazione ad agire

Art. 5.

1. Sono legittimati ad agire ai sensi degli articoli 4 e 4-bis, in forza di delega, rilasciata, a pena di nullità, per atto pubblico o scrittura privata autenticata, in nome e per conto o a sostegno del soggetto passivo della discriminazione, le associazioni e gli enti inseriti in un apposito elenco approvato con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali e del Ministro per le pari opportunità ed individuati sulla base delle finalità programmatiche e della continuità dell'azione (1) (2).

2. Nell'elenco di cui al comma 1 possono essere inseriti le associazioni e gli enti iscritti nel registro di cui all'articolo 52, comma 1, lettera a), del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394, nonché le associazioni e gli enti iscritti nel registro di cui all'articolo 6.

3. Le associazioni e gli enti inseriti nell'elenco di cui al comma 1 sono, altresì, legittimati ad agire ai sensi degli articoli 4 e 4-bis nei casi di discriminazione collettiva qualora non siano individuabili in modo diretto e immediato le persone lese dalla discriminazione (1).

(1) Comma modificato dall' articolo 8-sexies, comma 1, lettera d), nuemro 1), del D.L. 8 aprile 2008, n. 59, convertito, con modificazioni, dalla Legge 6 giugno 2008, n. 101.

(2) Per l'attuazione vedi il D.M. 16 dicembre 2005.

(3) Comma modificato dall' articolo 8-sexies, comma 1, lettera d), nuemro 2), del D.L. 8 aprile 2008, n. 59, convertito, con modificazioni, dalla Legge 6 giugno 2008, n. 101.

 

ARTICOLO N.6
Registro delle associazioni e degli enti che svolgono attività nel campo della lotta alle discriminazioni

Art. 6.

1. Presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per le pari opportunità è istituito il registro delle associazioni e degli enti che svolgono attività nel campo della lotta alle discriminazioni e della promozione della parità di trattamento.

2. L'iscrizione nel registro è subordinata al possesso dei seguenti requisiti:

a) avvenuta costituzione, per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, da almeno un anno e possesso di uno statuto che sancisca un ordinamento a base democratica e preveda come scopo esclusivo o preminente il contrasto ai fenomeni di discriminazione e la promozione della parità di trattamento, senza fine di lucro;

b) tenuta di un elenco degli iscritti, aggiornato annualmente con l'indicazione delle quote versate direttamente all'associazione per gli scopi statutari;

c) elaborazione di un bilancio annuale delle entrate e delle uscite con indicazione delle quote versate dagli associati e tenuta dei libri contabili, conformemente alle norme vigenti in materia di contabilità delle associazioni non riconosciute;

d) svolgimento di un'attività continuativa nell'anno precedente;

e) non avere i suoi rappresentanti legali subito alcuna condanna, passata in giudicato, in relazione all'attività dell'associazione medesima, e non rivestire i medesimi rappresentanti la qualifica di imprenditori o di amministratori di imprese di produzione e servizi in qualsiasi forma costituite, per gli stessi settori in cui opera l'associazione.

3. La Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per le pari opportunità provvede annualmente all'aggiornamento del registro.

 

ARTICOLO N.7
Ufficio per il contrasto delle discriminazioni

Art. 7.

1. È istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per le pari opportunità un ufficio per la promozione della parità di trattamento e la rimozione delle discriminazioni fondate sulla razza o sull'origine etnica, con funzioni di controllo e garanzia delle parità di trattamento e dell'operatività degli strumenti di tutela, avente il compito di svolgere, in modo autonomo e imparziale, attività di promozione della parità e di rimozione di qualsiasi forma di discriminazione fondata sulla razza o sull'origine etnica, anche in un'ottica che tenga conto del diverso impatto che le stesse discriminazioni possono avere su donne e uomini, nonché dell'esistenza di forme di razzismo a carattere culturale e religioso.

2. In particolare, i compiti dell'ufficio di cui al comma 1 sono i seguenti:

a) fornire assistenza, nei procedimenti giurisdizionali o amministrativi intrapresi, alle persone che si ritengono lese da comportamenti discriminatori, anche secondo le forme di cui all'articolo 425 del codice di procedura civile;

b) svolgere, nel rispetto delle prerogative e delle funzioni dell'autorità giudiziaria, inchieste al fine di verificare l'esistenza di fenomeni discriminatori;

c) promuovere l'adozione, da parte di soggetti pubblici e privati, in particolare da parte delle associazioni e degli enti di cui all'articolo 6, di misure specifiche, ivi compresi progetti di azioni positive, dirette a evitare o compensare le situazioni di svantaggio connesse alla razza o all'origine etnica;

d) diffondere la massima conoscenza possibile degli strumenti di tutela vigenti anche mediante azioni di sensibilizzazione dell'opinione pubblica sul principio della parità di trattamento e la realizzazione di campagne di informazione e comunicazione;

e) formulare raccomandazioni e pareri su questioni connesse alle discriminazioni per razza e origine etnica, nonché proposte di modifica della normativa vigente;

f) redigere una relazione annuale per il Parlamento sull'effettiva applicazione del principio di parità di trattamento e sull'efficacia dei meccanismi di tutela, nonché una relazione annuale al Presidente del Consiglio dei Ministri sull'attività svolta;

g) promuovere studi, ricerche, corsi di formazione e scambi di esperienze, in collaborazione anche con le associazioni e gli enti di cui all'articolo 6, con le altre organizzazioni non governative operanti nel settore e con gli istituti specializzati di rilevazione statistica, anche al fine di elaborare linee guida in materia di lotta alle discriminazioni.

3. L'ufficio ha facoltà di richiedere ad enti, persone ed imprese che ne siano in possesso, di fornire le informazioni e di esibire i documenti utili ai fini dell'espletamento dei compiti di cui al comma 2.

4. L'ufficio, diretto da un responsabile nominato dal Presidente del Consiglio dei Ministri o da un Ministro da lui delegato, si articola secondo le modalità organizzative fissate con successivo decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, con cui si provvede ad apportare le opportune modifiche al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri in data 23 luglio 2002, recante ordinamento delle strutture generali della Presidenza del Consiglio dei Ministri, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 207 del 4 settembre 2002.

5. L'ufficio può avvalersi anche di personale di altre amministrazioni pubbliche, ivi compresi magistrati e avvocati e procuratori dello Stato, in posizione di comando, aspettativa o fuori ruolo, nonché di esperti e consulenti esterni. Si applica l'articolo 17, commi 14 e 17, della legge 15 maggio 1997, n. 127.

6. Il numero dei soggetti di cui al comma 5 è determinato con il decreto di cui al comma 4, secondo quanto previsto dall'articolo 29 della legge 23 agosto 1988, n. 400 e dall'articolo 9 del decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 303.

7. Gli esperti di cui al comma 5 sono scelti tra soggetti, anche estranei alla pubblica amministrazione, dotati di elevata professionalità nelle materie giuridiche, nonché nei settori della lotta alle discriminazioni, dell'assistenza materiale e psicologica ai soggetti in condizioni disagiate, del recupero sociale, dei servizi di pubblica utilità, della comunicazione sociale e dell'analisi delle politiche pubbliche.

8. Sono fatte salve le competenze delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano (1) .

(1) Vedi il Comunicato della Presidenza del Consiglio dei Ministri 9 dicembre 2005.

 

ARTICOLO N.8
Copertura finanziaria

Art. 8.

1. Agli oneri finanziari derivanti dall'istituzione e funzionamento dell'ufficio di cui all'articolo 7, nel limite massimo di spesa di 2.035.357 euro annui a decorrere dal 2003, si provvede ai sensi dell'articolo 29, comma 2, della legge 1° marzo 2002, n. 39.

2. Fatto salvo quanto previo dal comma 1, dall'attuazione del presente decreto non derivano oneri aggiuntivi per il bilancio dello Stato.

Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.

Questo decreto integra la tutela di cui all'art. 43del Dlgs 286 del 1998.
Lo stesso decreto ha un suo riferimeno nell'art. 14 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo:
RTICOLO 14
Divieto di discriminazione
Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella
presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna
discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza,
il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di
altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a
una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra
condizione.

Altra correlazione si trova con l'art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea:

Articolo 21
Non discriminazione
1. È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l'origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l'appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali.
2. Nell'ambito d'applicazione del trattato che istituisce la Comunità europea e del trattato sull'Unione europea è vietata qualsiasi discriminazione fondata sulla cittadinanza, fatte salve le disposizioni particolari contenute nei trattati stessi.