Il nuovo assetto dell’Udienza Preliminare
a cura dell’Avv. Lorenzo Casini, Foro di Roma
- Il mutamento del vaglio decisorio alla base dell’emissione della sentenza di non luogo a procedere.
L’articolo 1, comma 9 della Delega al Governo per l’efficienza del processo penale stabilisce nuovi criteri ermeneutici finalizzati a riformare alcuni elementi significativi della disciplina in tema di udienza preliminare.
È opportuno evidenziare come, di pari passo all’intenzione del Legislatore di stravolgere completamente la cognizione del Gup, vi è stata l’altrettanta voluntas legis di limitare l’ambito applicativo dell’udienza preliminare tramite l’ampliamento del novero dei reati per cui il P.M. esercita l’azione penale con citazione diretta davanti al Tribunale in composizione monocratica.
Il Legislatore modifica la disciplina dei procedimenti attribuiti alla competenza del tribunale monocratica in cui l’esercizio dell’azione penale si realizza con la citazione diretta a giudizio.
Il catalogo dei reati che soggiacciono a tale nuova disciplina processuale presentano le seguenti caratteristiche: 1) reati puniti con la pena della reclusione non superiore nel massimo a 6 anni anche se congiunta alla pena della multa, 2) reati che non presentino rilevanti difficolta di accertamento.
La novità in tema di udienza preliminare si rinviene nel mutato vaglio critico attribuito al Gup per quanto concerne la formulazione della imputazione, con una nuova regola processuale ai fini della pronuncia della sentenza di non luogo a procedere.
Il novellato art. 425, comma 3 c.p.p. stabilisce infatti un cambio di rotta in quanto gli elementi acquisiti “non dovranno consentire una ragionevole previsione di condanna”.
Come è noto la precedente formulazione prevedeva che il Gup pronunciasse sentenza di non luogo a procedere quando gli elementi acquisiti non fossero idonei a sostenere l’accusa in giudizio o comunque risultassero insufficienti e/o contradditori.
La “regola di giudizio” attuale si imperniava sulla “inidoneità” degli elementi raccolti a “sostenere l’accusa in giudizio”. Detto criterio è stato interpretato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 88 del 1991 la quale ha specificato come il “quadro acquisitivo” andava valutato “non nell’ottica del risultato dell’azione, ma in quella della superfluità o no dell’accertamento giudiziale, che è l’autentica prospettiva di un pubblico ministero, il quale, nel sistema, è la parte pubblica incaricata di instaurare il processo”.
Lo scrutino da parte del Gup è stato ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità di natura bifasica, composto da un primo tassello critico “diagnostico” sulla completezza delle indagini e, successivamente, e una valutazione “prognostica” sull’utilità del dibattimento, accertando se l’insufficienza o la contraddittorietà degli elementi, raccolti dal pubblico ministero o acquisibili in udienza preliminare, potessero essere oggetto di integrazione probatoria.
Tale regola di giudizio costituiva norma di chiusura, che secondo le intenzioni della Legge Carotti avrebbe dovuto accentuare la funzione di filtro dell’udienza preliminare. In estrema sintesi la giurisprudenza ha interpretato tale regola di giudizio, fondata sulla idoneità degli elementi raccolti, sulla base di una valutazione prognostica circa l’utilità del dibattimento (Cfr ex multis Cass Penale Sez V 28 gennaio 2019 n° 37322).
Secondo tale ottica, il quadro probatorio raccolto in sede di indagine preliminare doveva essere scrutinato sulla base di un criterio di non superfluità ma di necessarietà dell’accertamento giudiziale della fase dibattimentale.
È da menzionare comunque già ai sensi dell’art. 422 c.p.c. il Gup poteva assumere, anche d’ufficio, le “prove evidentemente decisive” per il proscioglimento dell’imputato ai sensi dell’art. 129 c.p.p. in un contraddittorio ritenuto “affievolito”, e che, quindi, con l’art. 421-bis cod. proc. pen., il codice gli attribuiva la facoltà di indicare al pubblico ministero i profili della sua attività d’indagini ritenuti lacunosi in modo tale da poterli integrare con nuove indagini.
L’intenzione del legislatore della Riforma si rinviene nell’intento di ampliare il novero dei procedimenti in cui il proscioglimento dell’imputato possa essere dichiarato direttamente in udienza preliminare in virtù del nuovo grado di “cognizione” del Gup nella prospettiva della successiva fase dibattimentale, agevolato anche dalla precisazione in fatto e in diritto dell’accusa.
A detta dei commentatori della Riforma Cartabia, l’intervento normativo de quo ha determinato una vera e propria rivoluzione copernicana, giustificando l'instaurazione del processo nei soli casi in cui gli elementi consentono una ragionevole previsione di condanna. La Commissione Lattanzi ha tal proposito ha evidenziato come la nuova diagnosi prognostica sulla cui base il P.M. sarà chiamato ad operare ha le seguenti implicazioni:
- l’esercizio dell’azione penale dovrà essere esercitato solo nel caso in cui le evidenze probatorie raccolte siano idonee a condurre alla condanna dell’imputato secondo la regola dell’oltre ragionevole dubbio, tanto allo stato degli atti come in un eventuale giudizio abbreviato, quanto a seguito di una approfondita istruttoria a conclusione della fase dibattimentale.
Autorevoli operatori del diritto hanno ritenuto come tale nuova formula diagnostica sia espressione di una riaffermazione di “correttivi” inquisitori all’interno di un in sistema penal-processualistico che secondo le intenzioni dei compilatori del Codice Vassalli del 1988 doveva connotarsi tendenzialmente secondo un’impronta di tipo accusatoria.
Si parla infatti di sistema accusatorio misto in quanto già prima dell’avvento della riforma Cartabia si rinvenivano pacificamente norme improntate secondo l’ottica di inquisitorietà, come per esempio l’art. 442 c.p.p. che sancisce il potere istruttorio supplementare del Gup sulla base della circostanza per cui il Giudice non potrebbe decidere allo stato degli atti sul rinvio a giudizio o sul non luogo a procedere.
La dottrina ha sollevato non poche critiche sulla formulazione della nuova regola di giudizio che, pur apparendo favorevole ai diritti dell’accusato, sposta ancora una volta il baricentro del procedimento dal dibattimento alle indagini preliminari, sia pure con tutti i rimedi correttivi previsti.
In particolare, si è ritenuto che in sostanza i parametri di valutazione del giudice dell’udienza preliminare siano rimasti immutati, non essendo variata la regola di giudizio, in quanto sarebbero mutati solo i presupposti per adottare una sentenza di non luogo a procedere.
Non mancano le posizioni ancora più critiche che vedono nella nuova regola di giudizio un pericolo per la presunzione di non colpevolezza, quale stigma per l’imputato di cui sia stato disposto il giudizio, nonché una forma di coercizione dell’imputato.
Il criterio diagnostico della “ragionevole previsione condanna” lungi dal condurre ad un più impermeabile maglia di controllo rispetto ad accuse infondate, rischia di divenire nella prassi giudiziaria un vero e proprio “pre-giudizio” ai danni del libero convincimento del Giudice del Dibattimento in considerazione del rafforzato sindacato del Gup e de suoi inalterati poteri istruttori.
Invero la riforma dell’art. 425 comma III c.p. appare di una portata innovativa tale da poter drasticamente travolgere l’assetto tendenzialmente accusatorio del nostro modello processuale, stante la penetrante longa mano della nuova regola processuale.
Alla luce delle considerazioni sinora espresse, volendo operare una ripartizione tassonomica delle differenti regole di giudizio, lo standard probatorio della “ragionevole previsione di condanna” si collocherebbe in una immaginaria posizione mediana rispetto a quella della gravità indiziaria di cui all’art. 273 c.p.p. e quella dell’oltre ogni ragionevole dubbio.
Da ciò si ricaverebbe l’assunto per cui il deficit dei gravi indizi di colpevolezza comporterebbero un’irragionevole previsione di condanna, a contrario dalla loro sussistenza se ne ricaverebbe invece la ragionevolezza della suddetta previsione, con progressivo svuotamento della funzione della c.d. diagnosi prognostica dell’udienza preliminare.
- Sulla modifica della richiesta di rinvio a giudizio
Il Legislatore della riforma ha inteso attribuire al Gup maggiori poteri di controllo sul capo d’imputazione formulato dal pubblico ministero con la richiesta di rinvio a giudizio con l’obbiettivo di ottimizzare la funzione di “filtro processuale” dell’udienza preliminare rispetto alla successiva fase dibattimentale.
Gia il vigente art 417, comma 1, lett. b, c.p.p. come modificato dall’art. 18, comma 1, l. 15 dicembre 1999, n. 479 (cd. legge“Carotti”) sanciva la necessaria rispondenza dell’imputazione ai canoni di chiarezza e precisione del fatto contestato nella richiesta di rinvio a giudizio predisposta dal pubblico ministero, pur senza la previsione di un’espressa sanzione processuale per la sua violazione.
Prima della riforma in analisi, si assisteva ad un differimento dell’accertamento circa la legalità della contestazione all’imputo, in specifico ad un momento successivo all’emissione del decreto che dispone il giudizio, all’esito dell’udienza preliminare.
Ai sensi dell’art. 429, comma 2, c.p.p., tale valutazione era di spettanza esclusiva del Giudice dibattimentale il quale, se ravvisata qualche difformità rispetto al modello legale, poteva dichiarare nullo il decreto.
La dichiarazione di nullità, da inquadrarsi come nullità “relativa” ai sensi dell’art. 181, comma 3, cod. proc. pen., era rimessa, quindi, a un giudice successivo che, accertatane la sussistenza, ai sensi dell’art. 185, comma 3, stesso codice, provvedeva a ordinare la regressione del procedimento allo stato o al grado. Nella successiva udienza preliminare, il pubblico ministero era tenuto ad adeguare la contestazione sulla base delle indicazioni in fatto e in diritto contenute nell’ordinanza del giudice dibattimentale.
Il legislatore, nell’apportare questa importante innovazione, ha di fatto recepito normativamente gli orientamenti enucleati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di abnormità del provvedimento con cui il Gup, nel dichiarare la nullità della richiesta di rinvio a giudizio per la genericità o l’indeterminatezza dell’imputazione, avesse disposto la restituzione degli atti al pubblico ministero.
Infatti l’organo di Nomofilachia aveva evidenziato come il Gup fosse investito di un vero e proprio il “potere/dovere” con il quale provvedere ad attivare i meccanismi correttivi, con apposita ordinanza motivata e interlocutoria finalizzata a sollecitare l’azione integrativa endofasica del pubblico ministero ex art. 423 c.p.p. , in ossequio all’interpretazione estensiva che la Corte Costituzionale ne ha fornito nel tempo (ordinanze n. 88 del 1994e n. 131 del 1995, richiamate anche dalle successive n. 265 del 1994 e n. 384 del 2006).
Solamente in caso di inerzia del pubblico ministero, nonostante l’invito a procedere alla richiesta integrazione della contestazione (anche per il disposto dell’art. 124 cod. proc. pen.), il Gup poteva concludere la fase con la restituzione degli atti, a seguito dell’applicazione analogica dell’art. 521, comma 2, c.p.p.
Dette ragioni giustificano il potere del Gup di supplire alle lacune o all’inerzia dell’organo d’accusa, in osservanza dell’indefettibile principio di legalità di dare al fatto contestato una diversa definizione o qualificazione giuridica, riconducendo così la fattispecie concreta allo schema legale che le è consono, in forza della valenza generale della regola contenuta nell’art. 521, comma 2, cod. proc. Pen (Corte cost. n. 347 del 1991e n. 112 del 1994; Sez. U. n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205617 01).
Il Legislatore è quindi intervenuto nella disciplina dell’udienza preliminare novellando l’art. 423 c.p.p. introducendo la sanzione della nullità della richiesta a rinvio con conseguente restituzione degli atti al Pubblico Ministero.
Infatti nel comma 1 bis è previsto che “se rileva che il fatto, le circostanze aggravanti che possono comportare l’applicazione di misure di sicurezza non sono indicate nell’imputazione in termini corrispondenti a quanto emerge dagli atti o che la definizione giuridica non è corretta, il giudice invita il pubblico ministero a operare le necessarie modificazioni. Se la difformità indicata permane, sentite le parti, il giudice dispone con ordinanza, anche d’ufficio, la restituzione degli atti al Pubblico Ministero”
Sulla natura della nuova sanzione processuale introdotta con la novella, si ritiene che possa qualificarsi come una nuova ipotesi di nullità di carattere speciale, non potendo essere ricompresa nella categoria di ordine generale prevista all’art. 178, comma 1, c.p.p.
Con tale intervento normativo si è inteso dare seguito a quell’orientamento di legittimità[1]che attribuiva specifici poteri compulsatori del Gup affinché l’organo di accusa ponesse rimedio alla genericità e all’indeterminatezza del fatto contestato attraverso l’istituto correttivo di cui all’art. 423 c.p.p. Con tale nuova formulazione si è difatti positivizzato il potere (di matrice giurisprudenziale[2]) del Gup di dichiarare d’ufficio la nullità della richiesta a giudizio, a fronte di violazione delle disposizioni relative ai requisiti formale di cu all’art. 417 c.p.p., nell’ipotesi in cui il Pubblico Ministero non provveda con sollecitudine alla riformulazione dell’imputazione in “forma chiara e precisa”
L’inserimento di una specifica sanzione processuale applicabile nei confronti dell’organo dell’Accusa risponde all’ avvertita esigenza di dare giustificazione processuale alla restituzione degli atti senza che sia necessario applicare analogicamente l’art. 521 comma 2 c.p.p.[3] nel contesto dell’udienza preliminare.
La previsione della sanzione della nullità in caso di difetto di imputazione nella richiesta di rinvio a giudizio legittima la regressione del procedimento sino alla fase precedente l’esercizio dell’azione penale.
Secondo le intenzioni del Legislatore le modifiche introdotte, focalizzantesi incentrate sulla necessaria completezza dell’imputazione e correttezza della sua formulazione in punto di fatto e di diritto, dovrebbero consentire di risolvere in via anticipata, nel contraddittorio delle parti, i possibili profili di invalidità dell’imputazione, evitando al massimo la possibilità di una regressione del procedimento, ai sensi dell’art. 429, comma 2, c.p.p., dalla fase dibattimentale.
Al contempo, dovrebbe agevolare il ricorso ai riti alternativi, soprattutto nei casi in cui sussista una preclusione normativa per la qualificazione giuridica (qual è quella prevista dalla l. 12 aprile 2019, n. 33, sull’inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell'ergastolo) ovvero sia incerta o generica la contestazione, per la sommaria descrizione del fatto o per l’incerta qualificazione giuridica, e quindi risultando strategicamente conveniente essere giudicati “allo stati degli atti”.
Tuttavia a detta dei più autorevoli commentatori della riforma, il combinato disposto dell’introduzione di tale sanzione processuale in caso di difetto dell’imputazione non rilevato e non corretto dal P.M., e la modifica della regola di giudizio dell’udienza preliminare con la “ragionevole previsione di condanna” va ad enfatizzare ancora di più la deriva inquisitoria del modello processuale di ispirazione accusatoria, con l’evidente rischio di esautorare di ogni funzione filtro l’udienza preliminare per gli accresciuti poteri istruttori del Giudice.
- Sulla novità introdotte in tema di costituzione di parte civile
Il Legislatore è intervenuto anche sulle modalità e i termini decadenziale per la costituzione di parte civile.
Per quanto attiene la modalità di costituzione della parte civile viene introdotto il nuovo comma 1-bis nell’art. 178 c.p., il quale consente al difensore munito di procura speciale ai sensi degli artt. 100 e 122 c.p.p., salvo la volontà ivi espressa contraria della parte interessata, di “conferire al proprio sostituto, con atto scritto, il potere di sottoscrivere e depositare l’atto di costituzione”, senza mutare la
titolarità del procuratore ovvero della parte costituita.
Si tratta di intervento normativo volto a facilitare il difensore in relazione ai profili distintivi della costituzione di parte civile mantenuti dal codice di rito nel caso di “incardinamento” dell’azione civile del danneggiato/parte offesa all’interno del processo penale.
La legittimatio ad causam (la titolarità del diritto), ovverosia la titolarità del diritto sostanziale in capo al danneggiato ai sensi dell'art. 74 c.p.p quale indispensabile presupposto per la costituzione
di parte civile con le modalità previste dagli artt. 76 e 78 c.p.p. rimane distinta da quella ad processum (la capacità di stare in giudizio), ovvero la rappresentanza processuale che risponde alla regola delineata dall'art. 100 cod.., in virtù della quale il danneggiato, per potere stare in giudizio, sia esso costituito personalmente o a mezzo di procuratore speciale, deve conferire al difensore la necessaria procura alle liti.
Come è noto, mediante il conferimento della procura speciale ex artt. 76 e 122 c.p.p. il soggetto titolare del diritto al risarcimento dei danni conferisce al procuratore la capacità di disporre delle posizioni giuridico-soggettive del rappresentato, comprensiva della facoltà processuale di costituirsi quale parte civile in nome e per conto del soggetto danneggiato; mentre la procura speciale ex art.. 100 c.p.p. conferisce, invece, il solo mandato processuale di rappresentanza e assistenza tecnica in giudizio, il c.d. ius postulandi attribuendo il potere di "compiere e ricevere tutti gli atti del procedimento" (art.100, comma 4, cod. proc. pen.), necessari allo svolgimento dell'azione civile che è richiesta anche in sede di costituzione nel processo penale, cosi come mutuata dall'omologo istituto civilistico di cui all’art. 83 c.p.c.[4]
La ratio legis della riforma è finalizzata a scongiurare le frequenti ipotesi d’invalidità della costituzione di parte civile nei casi, molto frequenti nella prassi giudiziaria, dovute alla sottoscrizione e al deposito ovvero alla presenza in udienza del sostituto processuale, delegato ai sensi dell’art. 102 c.p.p., senza le richieste formalità tra cui la manifestazione di volontà della parte rappresentata attraverso l’inserimento della sua specifica volontà nelle procure speciali sopra indicate (cumulabili in un unico atto) – ovvero attraverso la presenza personale del soggetto titolare del diritto risarcitorio al momento della costituzione in udienza - come affermato da Sez. U, n.12213 del 21/12/2017, dep. 2018, Zucchi, Rv. 272169-01 e il cui orientamento ha costituito presupposto dell’intervento riformatore[5].
Per quanto attiene ai termini decadenziali per costituzione di parte civile, la modifica all’art. 79 c.p.p.., invece, restringe il momento processuale riservato alla costituzione della parte civile all’interno dell’udienza preliminare, ove prevista.
Si prevede specificamente che la costituzione debba intervenire “prima che siano ultimati gli accertamenti relativi alla costituzione delle parti, o, quando manca l’udienza preliminare, fino a che non siano compiuti gli adempimenti previsti dall’art. 484 cod. proc. pen. o dall’art. 554-bis, comma 2, c.p.p.”.
Detti termini sono stabiliti come perentori, essendo previsti, al comma 2 dell’art. 79 c.p.p, a pena di decadenza.
Sul versante del regime intertemporale il legislatore è intervenuto con l'art. 85-bis al d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, con cui si aggiunge una disposizione transitoria in materia di termini per la costituzione di parte civile nei procedimenti penali.
Tale articolo stabilisce che detto limite temporale non operi per i procedimenti nei quali, alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 150 cit., in udienza preliminare siano già stati ultimati gli accertamenti relativi alla costituzione delle parti, ma continuino ad applicarsi le disposizioni dell'art. 79 c.p.p. e, limitatamente alla persona offesa, dell'art. 429, comma 4, c.p.p. nel testo previgente.
L’applicazione del novellato termine decadenziale, in assenza di opportuna disciplina transitoria, avrebbe precluso la costituzione di parte civile quando, al momento dell'entrata in vigore del decreto legislativo, in udienza preliminare si fosse già svolta l’attività di controllo del giudice sulla regolare costituzione delle parti, così stabilendosi l'ultrattività delle disposizioni dell'art. 79 e, limitatamente alla persona offesa, dell'art. 429, comma 4, c.p.p. nella formulazione antecedente alla entrata in vigore della riforma.
[1] Ex multis Cass. Penale Sezioni Unite, 1° febbraio 2008, ad avviso delle Sezioni unite, si tratta di provvedimento eccezionale che si eleva a strumento di extrema ratio per evitare casi di regressione abnorme della fase procedimentale, qualora il P.m. non ottemperi all’ordine del giudice di modificare l’imputazione nel corso dell’udienza preliminare.
[2] Tale attribuzione di potere officioso costituisce naturale conseguenza di numerose pronunce della Corte Costituzionale, secondo cui, in ossequio al diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost., il Gup ha il potere/dovere di sollecitare il P.M. ad apportare delle modifiche nella formulazione dell’imputazione nell’ipotesi in cui il fatto risulti diverso da quello enunciato o quando la contestazione sia eccessivamente generica o non chiara
[3] “il giudice dispone con ordinanza la trasmissione degli atti al pubblico ministero se accerta che il fatto è diverso da come descritto nel decreto che dispone il giudizio ovvero nella contestazione effettuata a norma degli art. 516, 571, 518 comma 2”
[4] Le Sezioni Unite, “Mazzarella”, hanno sanzionato la legittimità del cumulo delle due procure in un unico atto, pur non escludendone l’autonomia sostanziale.
[5] La questione rimessa all’esame delle Sezioni Unite era infatti relativa ad una dichiarazione di costituzione di parte civile non sottoscritta dal difensore titolare, in un caso di assenza di coincidenza delle facoltà di subdelega nelle due procure, infatti, la facoltà di subdelega era relativa solo alla procura alle liti e non alla procura all'esercizio dell'azione civile, con conseguente esclusione del potere del sostituto processuale di sottoscrivere la costituzione di parte civile. Sulla legittimità della sostituzione in sede di costituzione, si è quindi chiarito che perché “tale potere sia legittimamente conferito appare necessario e sufficiente che il danneggiato preveda una tale possibilità in capo al difensore-procuratore speciale all'interno della procura di cui agli artt. 76 e 122 cod. proc. pen.”
Con Sez. 6, n. 1228 del 21/11/2019, dep. 2020, Massironi, si è ulteriormente specificato come “la presentazione in udienza della dichiarazione di costituzione di parte civile, ove ritualmente sottoscritta dal difensore, munito di procura speciale alle liti, possa essere delegata al sostituto processuale, non assumendo tale atto la natura di atto dispositivo del diritto conteso, ma costituendo mera esplicazione dello stesso mandato alle liti, ove conferito con l'espressa facoltà di avvalersi di sostituti processuali”, nonché come sia possibile solo per il difensore, titolare della procura alle liti di cui all’art. 100 cod. proc. pen. e anche della procura per l'esercizio della azione civile in sede penale ai sensi dell’art. 122 cod. proc. pen. il potere di delegare ad altri di sottoscrivere l'atto di costituzione, sempre che tale facoltà non si ponga in contrasto con la volontà della parte rappresentata “che abbia escluso la facoltà di nominare altro difensore diverso da quello incaricato”.