Svolgimento del processo
Con la sentenza in epigrafe il Tribunale di Roma ha assolto perchè
il fatto non sussiste la cittadina romena A.N.M.,
imputata del reato previsto dal D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art.
14, comma 5 ter, in quanto trovata nel territorio dello Stato, da cui
era stata espulsa mediante ordine di allontanamento. Il giudicante ha
fondato la decisione su duplice argomentazione: doveva ritenersi
sussistente il giustificato motivo che esclude la punibilità del
fatto, avendo l'imputata dichiarato di essere sprovvista del denaro
occorrente al rimpatrio, circostanza plausibile essendo emerso che
alloggiava presso uno scalo ferroviario; non risultava che avesse
compreso appieno il contenuto del provvedimento esecutivo
dell'espulsione, tradotto soltanto in inglese, dato che al
dibattimento aveva dovuto essere assistita da un interprete di lingua
romena.
Ricorre per cassazione il P.G. del distretto, denunciando erronea
disapplicazione della norma incriminatrice. Secondo le indicazioni
della sent. n. 5 del 2004 della Corte Costituzionale il giustificato
motivo, pur non compreso tra le cause di giustificazione tipiche,
deve avere connotazioni di necessità inevitabile, e non può
consistere nel mero disagio economico dipendente dall'ingresso nello
Stato senza disporre di mezzi e dalla mancanza di occupazione
connessa alla situazione di clandestinità volontariamente posta in
essere.
Motivi della decisione
Il ricorso è infondato. In particolare, non appare condivisibile
l'affermazione che il "giustificato motivo" atto ad escludere la
punibilità della condotta incriminata non possa mai essere, anche
indirettamente, collegabile ad un fatto volontario dell'agente (onde
la stessa permanenza clandestina nello Stato e la condizione di
precarietà che ne deriva sarebbero di per sè ostative alla
giustificazione, rendendo pleonastica la previsione normativa).
Indubbiamente, ai fini dell'esclusione dell'illiceità, occorre una
ragione "di particolare pregnanza" che sia di ostacolo al rimpatrio.
E' stato al proposito autorevolmente osservato (Corte Cost. 18.12.2003/13.1.2004 n. 5) che la causa giustificativa non può
essere costituita dal mero disagio economico di regola sottostante al
fenomeno migratorio, ma ben può essere integrata da una condizione
di assoluta impossidenza dello straniero, che non gli consenta di
recarsi nel termine alla frontiera (in particolare aerea o marittima)
e di acquistare il biglietto di viaggio. Quanto poi al regime
probatorio, la giurisprudenza costituzionale citata ha chiarito che,
come in tutti gli altri casi in cui compare la formula "senza
giustificato motivo" - fermo restando il potere-dovere del giudice di
rilevare direttamente, quando possibile, l'esistenza di ragioni
legittimanti l'inosservanza del precetto penale - lo straniero avrà,
dal canto suo, un semplice onere di allegazione dei motivi non
conosciuti nè conoscibili dal giudicante. Nell'un caso e nell'altro
- ossia tanto nel caso di rilievo "ex officio" che in quello di
allegazione da parte dell'imputato - le situazioni integrative del
"giustificato motivo" si tradurranno, quindi, in altrettanti temi di
prova per le parti e per i poteri officiosi del giudice.
Nel caso di specie il giudice di merito ha fatto riferimento
all'allegazione dell'interessata, che ha ritenuto riscontrata dalle
accertate condizioni di estrema precarietà abitativa ("alloggiava
presso uno scalo ferroviario"). A tale ragionamento probatorio - in
linea di principio corretto, alla stregua dei criteri prima enunciati
- il ricorrente non oppone specifiche obiezioni.
Neppure vengono formulate censure all'altro argomento posto dal
giudice "a quo" a sostegno della decisione di proscioglimento (dubbio
sulla comprensione dell'intimazione ricevuta, tradotta in inglese, e
non nella lingua madre). Va al proposito richiamata la previsione del
D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 7, secondo il quale gli atti
concernenti l'espulsione devono essere comunicati all'interessato "in
una lingua da lui conosciuta ovvero, ove non sia possibile, in lingua
francese, inglese o spagnola". La disposizione è stata ritenuta
conforme al dettato costituzionale, in quanto rispondente a criteri
ragionevolmente funzionali e nella loro necessaria astrattezza idonei
a garantire che, nella generalità dei casi, il provvedimento
espulsivo sia conoscibile dal destinatario, nel suo contenuto e in
ordine alle possibili conseguenze derivanti dalla sua violazione. La
norma si limita a regolare doverosamente le modalità attraverso le
quali il contenuto dei decreti concernenti l'espulsione è, nella
maggior parte dei casi, conoscibile dallo straniero, mentre la
valutazione in concreto dell'effettiva conoscibilità dell'atto
spetta ai giudici di merito, i quali devono verificare se la
comunicazione del provvedimento abbia raggiunto o meno il suo scopo,
traendone le dovute conseguenze in ordine alla sussistenza
dell'illecito penale contestato allo straniero (Corte Cost.
8/21.7.2004 n. 257). In altre parole, il giudice di merito,
controllata l'osservanza delle disposizioni normative, deve poi
verificare se essa sia valsa a consentire al destinatario la
conoscenza effettiva del contenuto dell'ordine del Questore, restando
in caso contrario la condotta trasgressiva esente da pena per difetto
dell'elemento soggettivo. Anche sul punto il giudice "a quo" ha
espresso il proprio convincimento in base alla rilevata necessità di
colloquiare con l'imputata mediante interprete in madrelingua.
Il ricorso va perciò respinto.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, Prima Sezione Penale, rigetta il
ricorso.
Così deciso in Roma, il 25 maggio 2006.
Depositato in Cancelleria il 18 settembre 2006
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