Cass. pen. Sez. I, (ud. 25-05-2006) 18-09-2006, n. 30774

Svolgimento del processo

Con la sentenza in epigrafe il Tribunale di Roma ha assolto perchè il fatto non sussiste la cittadina romena A.N.M., imputata del reato previsto dal D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 5 ter, in quanto trovata nel territorio dello Stato, da cui era stata espulsa mediante ordine di allontanamento. Il giudicante ha fondato la decisione su duplice argomentazione: doveva ritenersi sussistente il giustificato motivo che esclude la punibilità del fatto, avendo l'imputata dichiarato di essere sprovvista del denaro occorrente al rimpatrio, circostanza plausibile essendo emerso che alloggiava presso uno scalo ferroviario; non risultava che avesse compreso appieno il contenuto del provvedimento esecutivo dell'espulsione, tradotto soltanto in inglese, dato che al dibattimento aveva dovuto essere assistita da un interprete di lingua romena.

Ricorre per cassazione il P.G. del distretto, denunciando erronea disapplicazione della norma incriminatrice. Secondo le indicazioni della sent. n. 5 del 2004 della Corte Costituzionale il giustificato motivo, pur non compreso tra le cause di giustificazione tipiche, deve avere connotazioni di necessità inevitabile, e non può consistere nel mero disagio economico dipendente dall'ingresso nello Stato senza disporre di mezzi e dalla mancanza di occupazione connessa alla situazione di clandestinità volontariamente posta in essere.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato. In particolare, non appare condivisibile l'affermazione che il "giustificato motivo" atto ad escludere la punibilità della condotta incriminata non possa mai essere, anche indirettamente, collegabile ad un fatto volontario dell'agente (onde la stessa permanenza clandestina nello Stato e la condizione di precarietà che ne deriva sarebbero di per sè ostative alla giustificazione, rendendo pleonastica la previsione normativa).

Indubbiamente, ai fini dell'esclusione dell'illiceità, occorre una ragione "di particolare pregnanza" che sia di ostacolo al rimpatrio.

E' stato al proposito autorevolmente osservato (Corte Cost. 18.12.2003/13.1.2004 n. 5) che la causa giustificativa non può essere costituita dal mero disagio economico di regola sottostante al fenomeno migratorio, ma ben può essere integrata da una condizione di assoluta impossidenza dello straniero, che non gli consenta di recarsi nel termine alla frontiera (in particolare aerea o marittima) e di acquistare il biglietto di viaggio. Quanto poi al regime probatorio, la giurisprudenza costituzionale citata ha chiarito che, come in tutti gli altri casi in cui compare la formula "senza giustificato motivo" - fermo restando il potere-dovere del giudice di rilevare direttamente, quando possibile, l'esistenza di ragioni legittimanti l'inosservanza del precetto penale - lo straniero avrà, dal canto suo, un semplice onere di allegazione dei motivi non conosciuti nè conoscibili dal giudicante. Nell'un caso e nell'altro - ossia tanto nel caso di rilievo "ex officio" che in quello di allegazione da parte dell'imputato - le situazioni integrative del "giustificato motivo" si tradurranno, quindi, in altrettanti temi di prova per le parti e per i poteri officiosi del giudice.

Nel caso di specie il giudice di merito ha fatto riferimento all'allegazione dell'interessata, che ha ritenuto riscontrata dalle accertate condizioni di estrema precarietà abitativa ("alloggiava presso uno scalo ferroviario"). A tale ragionamento probatorio - in linea di principio corretto, alla stregua dei criteri prima enunciati - il ricorrente non oppone specifiche obiezioni.

Neppure vengono formulate censure all'altro argomento posto dal giudice "a quo" a sostegno della decisione di proscioglimento (dubbio sulla comprensione dell'intimazione ricevuta, tradotta in inglese, e non nella lingua madre). Va al proposito richiamata la previsione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 7, secondo il quale gli atti concernenti l'espulsione devono essere comunicati all'interessato "in una lingua da lui conosciuta ovvero, ove non sia possibile, in lingua francese, inglese o spagnola". La disposizione è stata ritenuta conforme al dettato costituzionale, in quanto rispondente a criteri ragionevolmente funzionali e nella loro necessaria astrattezza idonei a garantire che, nella generalità dei casi, il provvedimento espulsivo sia conoscibile dal destinatario, nel suo contenuto e in ordine alle possibili conseguenze derivanti dalla sua violazione. La norma si limita a regolare doverosamente le modalità attraverso le quali il contenuto dei decreti concernenti l'espulsione è, nella maggior parte dei casi, conoscibile dallo straniero, mentre la valutazione in concreto dell'effettiva conoscibilità dell'atto spetta ai giudici di merito, i quali devono verificare se la comunicazione del provvedimento abbia raggiunto o meno il suo scopo, traendone le dovute conseguenze in ordine alla sussistenza dell'illecito penale contestato allo straniero (Corte Cost.

8/21.7.2004 n. 257). In altre parole, il giudice di merito, controllata l'osservanza delle disposizioni normative, deve poi verificare se essa sia valsa a consentire al destinatario la conoscenza effettiva del contenuto dell'ordine del Questore, restando in caso contrario la condotta trasgressiva esente da pena per difetto dell'elemento soggettivo. Anche sul punto il giudice "a quo" ha espresso il proprio convincimento in base alla rilevata necessità di colloquiare con l'imputata mediante interprete in madrelingua.

Il ricorso va perciò respinto.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Prima Sezione Penale, rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 25 maggio 2006.

Depositato in Cancelleria il 18 settembre 2006